C’è Bonafede sul futuro del Csm. Pm milanesi contro il sistema Roma. Primo vertice di Governo sulla riforma della Giustizia. Il procuratore Greco scopre gli inciuci tra le toghe

Se non siamo alla resa dei conti, poco ci manca. Il tormentone Csm che sta sconquassando la magistratura italiana è ormai tema di dibattito quotidiano tra le toghe e da ieri pure del Governo gialloverde. L’ennesima giornata di passione si è chiusa con il primo vertice promesso dal guardasigilli Alfonso Bonafede per discutere di riforma del processo penale, dopo ore di tensione, palpabile, nei corridoi delle Procure di mezza Italia. Il primo che ha deciso di rompere gli indugi è stato il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, che ha letteralmente lanciato una serie di bordate all’indirizzo dei colleghi romani che vivono in “un mondo che non ci appartiene, che non appartiene soprattutto ai magistrati del Nord e che vive negli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana”.

Parole di fuoco che non lasciano adito a dubbi. Del resto il vertice della procura lombarda non ci gira attorno e nell’intervento con cui ricordava la scomparsa dello scorso aprile del collega e amico Walter Mapelli, quest’ultimo procuratore di Bergamo, ha proseguito con l’ennesima bordata spiegando che di Palazzo dei Marescialli “abbiamo dovuto conoscere, apprendere, le sue logiche di funzionamento che ci hanno lasciati sconcertati e umiliati”.

BORDATE TERRIFICANTI. Riferendosi al suo amico e alle passate domande per incarichi dirigenziali che, nonostante i requisiti raggiunti da entrambi venivano puntualmente cestinate, visibilmente seccato ha precisato che “ora si capisce che le logiche erano altre” e non quelle relative al merito. Concetti e parole che sono stati poi ripresi e ribaditi anche dai colleghi dell’Anm di Benevento, presieduta dal giudice Gerardo Giuliano, in quella che appare sempre più una guerra incontrollata e incontrollabile tra le toghe. Così in un clima tanto complicato, la politica non poteva di certo restare a guardare.

Ed effettivamente il Governo gialloverde, come promesso prima dal premier Giuseppe Conte e dopo dal guardasigilli Bonafede, ieri ha ufficialmente dato il via alle discussioni per la tanto agognata riforma della Giustizia. Un vertice notturno a cui hanno preso parte anche il ministro della Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, e con cui si è affrontato per la prima volta il tema relativo ai modi e ai tempi con cui arrivare a mettere mano al processo civile e penale.

COSA CAMBIA. A partire dalla necessità di rendere entrambi i procedimenti più snelli rispetto a quanto non accada oggi. Ma nell’incontro sarebbero stati molti i nodi trattati dai grillini e dai leghisti, inclusa la riscrittura del sistema di elezione dei componenti togati del Csm come era stato sollecitato anche dal Capo dello Stato Sergio Mattarella. Un punto delicato per il quale la proposta sarebbe quella di istituire un sistema di calcolo meritocratico che assegni un punteggio a chi concorre per un incarico direttivo lasciando però al Csm la discrezionalità di scegliere tra i primi tre o i primi cinque nomi al massimo punteggio.

Ma c’è di più perché per i consiglieri tornerebbe la norma, abolita durante lo scorso esecutivo a guida Pd, che sostanzialmente impedisce loro di ricoprire incarichi direttivi una volta cessata la carica al Csm per un tempo di cinque anni. Inoltre per gli stessi occupanti di palazzo dei Marescialli è stato proposto di riallineare il trattamento economico che oggi, in alcuni casi, può raggiungere i 400mila euro al tetto di legge quantificato in 250 mila euro massimi.