Altro che camici donati. Una e-mail inguaia il cognato di Fontana. La versione di Dini non sta in piedi. L’imprenditore inviò al Pirellone persino il tariffario

Alla faccia della donazione. Dall’inchiesta sull’affaire camici che sta tormentando il Pirellone spunta un documento che inguaia Andrea Dini, cognato del governatore lombardo e proprietario di Dama, e ne smonta la versione secondo cui non c’è stata alcuna vendita ma che si è trattato di un semplice dono. Una tesi ripetuta a lungo nell’ultimo mese ma che si scioglie come neve al sole davanti alla lettera, firmata in calce proprio da Dini, con cui la sua azienda proponeva una serie di dispositivi medici, tra cui i camici, con i prezzi in bella mostra. Peccato che Dini, erede di una famiglia di imprenditori di Varese, sostenesse che tutto è accaduto per un fraintendimento tanto che, nell’immediatezza dei fatti, spiegò: “I miei, quando non ero in azienda durante il Covid, hanno male interpretato la cosa, ma poi sono tornato, me ne sono accorto e ho immediatamente rettificato tutto perché avevo detto a tutti che doveva essere una donazione” e assicurando che non è “mai stato preso un euro”.

Ma la versione di un errore, di una donazione computata in vendita per la disattenzione di un dipendente, non ha mai convinto la Procura che, infatti, ha iscritto il cognato di Attilio Fontana nel registro degli indagati insieme a Filippo Bongiovanni, dg di Aria, la Centrale acquisti regionale, per il reato di turbata libertà nella scelta del contraente. Indagini che sono tutt’altro che concluse e che, dopo acquisizioni di diverso materiale tra cui la lettera incriminata, stanno facendo sfilare le persone informate dei fatti in Procura. Tra questi ieri è stata sentita Carmen Schweigl, dirigente responsabile della struttura gare di Aria, in un’audizione fiume durata ben 7 ore. Magistrati che intendono capire se la procedura con cui è stata concessa la fornitura di camici e altro materiale medico per 513mila euro, poi stornati dopo la deflagrazione dello scandalo, si sia svolta in modo regolare o meno.

M5S ALL’ATTACCO. “È gravissimo quello che sta emergendo dalle indagini sulla fornitura di camici affidata in via diretta dalla Regione Lombardia a Dama, società di proprietà del cognato e della moglie del presidente Fontana. Auspichiamo che le indagini vadano fino in fondo e, in caso di rinvio a giudizio, ci attendiamo la costituzione di parte civile della Lombardia”. Ad affermarlo è Massimo De Rosa, capogruppo del M5S al Pirellone, che puntualizza che “se qualcuno ha usato l’emergenza per fare affari, va punito” perché “in piena emergenza la priorità doveva essere quella di salvare i lombardi”. De Rosa ha poi aggiunto che “va valutata anche la posizione dei dirigenti regionali che avevano il dovere di controllare che le procedure fossero corrette” e che la vicenda denota “il dilettantismo della giunta e della dirigenza nel trattare queste questioni”. Parole a cui ha risposto il capogruppo leghista Roberto Anelli secondo cui “i pm hanno appena iniziato ad indagare e già le opposizioni traggono le loro affrettate conclusioni”. Sempre secondo lui “fa specie che su una fornitura gratuita si stia sollevando questo polverone”.