Anche la vita ha un prezzo

Di Paolo Russo per La Stampa

Un farmaco salvavita contro l’epatite C venduto a un costo minimo di 58mila euro a ciclo terapeutico e per ora accessibile per “uso compassionevole” solo a chi lotta tra la vita e la morte. Con le associazioni dei pazienti che chiedono si faccia presto, mentre la multinazionale che detiene la pillola d’oro decide di rinviare a settembre la trattativa che l’Aifa, l’Agenzia ministeriale del farmaco, sta conducendo a colpi di sciabola per evitare la bancarotta della nostra sanità pubblica. Un’inchiesta del Senato americano che parla di guadagni da oltre 15 miliardi di euro solo quest’anno, considerati spropositati rispetto agli investimenti sostenuti per la ricerca. E poi quei pericolosi conflitti di interessi tra gli scienziati delle società scientifiche che ne raccomandano l’uso e l’azienda che lo produce.

Benvenuti nell’affaire Sofosbuvir. Emblematico di quello che potrà accedere in futuro se le autorità regolatorie internazionali del farmaco non riusciranno a far fronte comune contro l’incontenibile fame di profitto di big pharma.

Sovaldi, nome commerciale del principio attivo, è il primo farmaco in grado di sradicare in 12 settimane l’epatite C, che solo in Italia minaccia l’esistenza di mezzo milione di persone, che seguono con il fiato sospeso la guerra scatenata dal direttore dell’Aifa, Luca Pani, contro uno dei giganti farmaceutici. La Gilead Sciences, che nel 2012 fa l’affare acquistando per 11,2 miliardi di dollari Pharmaset, che Sovaldi l’ha scoperto. Non poco, ma quella scoperta fattura oggi 20 milioni di euro al giorno: 15miliardi all’anno.

Una miniera d’oro, sulla quale il Senato americano ha avviato un’indagine conoscitiva che l’Aifa decide ora di mettere in piazza. Scoprendo più di un altarino. Prima di tutto dai prospetti finanziari risulterebbe che, a consuntivo, la ricerca e lo sviluppo di Sovaldi sarebbero costati 62,4 milioni di dollari, cioè una parte infinitesimale dei ricavi ottenuti grazie a una politica spregiudicata del prezzo. La commissione finanze del Senato Usa avrebbe rilevato che dai 36mila dollari inizialmente previsti per le 12 settimane di terapia si sarebbe poi passati a 58mila, che possono arrivare a 120mila per i casi più gravi. Roba da far spendere 5 miliardi di euro l’anno al sistema assicurativo americano Medicare. Forse di più da noi, dove il tasso di infezione è altissimo.

Che i costi sostenuti per la ricerca non giustifichino un salasso del genere lo dimostra anche il fatto che in Egitto, dove c’è meno da mungere, il Sovaldi è stato offerto a solo 700 dollari a trattamento. Il 98% in meno del prezzo sparato in Usa e in Europa, dove la Gilead non vuole far sconti, preferendo raddoppiare le spese promozionali del farmaco: da 116 milioni di dollari nel 2011 a 216 nel 2013.

Ma a far storcere il naso ai senatori americani e alla nostra Aifa sono gli strani rapporti della multinazionale con alcune società scientifiche che negli Usa hanno raccomandato e raccomandano la pillola d’oro. Ben 18 dei 27 componenti ai quali in America sono andati a fare le pulci hanno dichiarato di avere una relazione finanziaria con la Gilead o di aver ricevuto fondi.

Il Senato Usa ha dato 60 giorni di tempo al colosso farmaceutico per dare chiarimenti. «Ma i pazienti non hanno il lusso di poter aspettare tanto» dice spazientito Pani . «L’Aifa – taglia corto- una risposta la vorrà subito, per poter dire che tanto inaspettato guadagno sarà restituito alla comunità. Immediatamente». L’annuncio di una battaglia alla quale guardano con interesse anche oltreconfine. Perché in gioco c’è la tenuta del welfare sanitario. Che oggi come in futuro non può permettersi il lusso di un’innovazione che fa rima con speculazione.