Caso Meocci, alla Rai rientrano solo 2 milioni

di Clemente Pistilli

Quattordici milioni di euro. Tanto ha speso la Rai per la nomina a direttore generale dell’emittente di Stato di Alfredo Meocci, una nomina illegittima, che ha portato l’Agcom a disporre la pesante sanzione. Ma alla fine nelle casse dell’ente pubblico sono rientrati soltanto poco più di due milioni. Gli allora componenti del cda della Rai, assieme all’allora ministro Domenico Siniscalco, erano stati chiamati a risarcire quel denaro. Due anni fa, però, la Corte dei Conti li aveva condannati a pagare “soltanto” 11 milioni. Un “tesoro” da tirare fuori dai componenti del cda – l’ex deputato di An, Gennaro Malgieri, il docente universitario Angelo Maria Petroni, il politologo ed ex ministro Giuliano Urbani, la ex deputata leghista Giovanna Bianchi Clerici e il manager Marco Staderini – e l’allora ministro Domenico Siniscalco, economista e presidente di Assogestioni.
Il responsabile dell’ufficio legale della Rai, Rubens Esposito, era poi stato condannato a risarcire oltre 200mila euro, e lo stesso Meocci a risarcire 107mila euro. Meocci non poteva essere nominato direttore generale Rai, avendo avuto fino a pochi mesi prima un ruolo di primo piano all’Agcom. Già deputato, il politico aveva però ottenuto quella poltrona, mantenendola dal 5 agosto 2005 al 20 luglio dell’anno successivo. Da lì la pesante sanzione. La Procura ha fatto appello, puntanto a recuperare l’intera somma sborsata dalla Rai, e lo stesso hanno fatto i condannati, cercando invece lo “sconto”. Per la III sezione d’appello della magistratura contabile andava accolta la richiesta di quest’ultimi. Grazie alla cosiddetta definizione agevolata, la norma che in secondo grado consente di chiudere ogni pendenza pagando il 20% della somma oggetto della condanna impugnata, versando nelle casse dell’ente pubblico il minimo possibile tutti i protagonisti della vicenda si sono così ora visti estinguere il giudizio. Alla Rai sono rientrati poco più di due milioni e per gli autori del danno erariale non resta neppure una “macchia”.