Champions League, le star sono i mister

di Alessandro Vocalelli per La Repubblica

Non c’è più Messi, non c’è più Ibra, non c’è più Rooney. Certo, resistono Ronaldo e Robben, per dire di due grandi giocatori, ma non c’è dubbio che la Champions League abbia perso stelle di primissima grandezza, gente capace di prendersi la vetrina e il palcoscenico. Diverso il discorso per gli allenatori. Non c’è più Blanc, ma onestamente nessuno pensa che sia tra i top degli allenatori. Non c’è più Martino, che si è giocato forse la carta più grande della sua carriera. Non c’è più Moyes, travolto dall’eredità di sir Alex Ferguson e mai capace di calarsi in un ruolo così scomodo. Non c’è più neanche Klopp, la rivelazione degli ultimi anni, in cerca di un salto decisivo nella carriera. Ci sono invece – e per questo è sempre più la Champions League degli allenatori – i tecnici più titolati, più importanti, non a caso i più ricercati. Pensavi a settembre alla Champions League degli allenatori e non avresti esitato un istante a citarli di un fiato: Ancelotti, Guardiola e Mourinho. Così in ordine alfabetico, ognuno avrebbe potuto scegliere l’ordine gerarchico, ma su quel tris in pochi, pochissimi, sarebbero stati disposti a derogare. E poi, pensando a un emergente, quale nome di sarebbe venuto in mente se non quello di Simeone? Già, il leader in campo da trapiantare in panchina, con quel piglio, quella grinta, che aveva da giocatore. Insomma, con tutto il rispetto dei giocatori, che restano sempre i protagonisti, questa è soprattutto la Champions degli allenatori. Un peccato che nessuno alleni un’italiana, ma possiamo consolarci col fatto che tutti e quattro siano passati per l’Italia.

E’ passato per l’Italia anche Guardiola, da giocatore. E’ nato in Italia naturalmente Ancelotti, capace di vincere tutto nella doppia veste. Sono passati per l’Italia il grande, grandissimo, Mourinho e Simeone, un altro che ha lasciato la sua impronta all’Inter, ma anche alla Lazio e al Catania, dove si è seduto in panchina. Quattro uomini con uno stile, una personalità, un modo di giocare, completamente diverso. Di Guardiola dicevano: ha tutto da perdere, perché il Barcellona è ormai una realtà perfetta e perché il Bayern ha una sua anima e comunque non si può andare oltre. Invece lui ci sta riuscendo, ed è significativo che il suo Bayern voli in semifinale nel giorno in cui il ‘suo’ Barcellona finisce fuori dalle semifinali per la prima volta dopo sette anni. Il suo è il calcio della ragnatela, della qualità.

Di Mourinho conosciamo tutto. E’ il migliore, lo Special One, perché è il Motivatore – con la M maiuscola – per eccellenza. Il suo calcio è partecipazione, identificazione, appartenenza. Batte il Psg e che succede? Il primo a corrergli incontro per fargli i complimenti è un suo ex calciatore, sì, ma anche un avversario: Ibra. Solo a Mourinho può succedere. Ancelotti è invece il calciatore che diventa allenatore, amico dei giocatori, capace di farsi rispettare, ma teso soprattutto a farsi amare. Un grande, che ha conosciuto Milano, Londra, Parigi, Madrid: facciamo un po’ il tifo per lui, non solo perché italiano, ma perché è uno che non ha mai dimenticato di essere se stesso. Uno che se ti incontra, come è successo a Roma, ti chiede sempre di accompagnarlo in quel ristorante al centro perché ‘continuano a fare il cacio e pepe come una volta, vero?.

Insomma, non è uno che finge, ma uno che crede nei rapporti. E solo uno così poteva mettere insieme Ronaldo e Bale senza che si scatenasse la rivalità su tutto: dai soldi al ruolo. E poi Simeone, le gambe arcuate da cow boy, la mascella dura. Uno che accompagna i giocatori, partecipa, è veramente il dodicesimo, uno che mette alle corde il Barcellona facendo gol e chiedendo ai suoi di insistere, insistere, insistere: tre legni prima di calmarsi. Saranno uno spettacolo le semifinali di questa Champions: Mourinho, Ancelotti, Guardiola e Simeone. La Coppa dei Campioni, la Coppa dei Grandi Allenatori.