Confindustria gufa sull’Italia. Ormai si è iscritta al partito dello spread. L’economista Rinaldi si chiede dov’erano Boccia & C. quando il Codice degli appalti devastava le aziende

Intervista all’economista Antonio Maria Rinaldi

“Tutte le previsioni sono sempre utilizzate pro domo sua. Vengono commissionate per dimostrare quello che si vuole già dimostrare in partenza. E lo studio di Confindustria non fa differenza”. Tranchant come sempre l’economista Antonio Maria Rinaldi, professore alla Link University. “E non si dimentichi che Boccia (Vincenzo, ndr) è in scadenza e vuole un po’ tirare le somme della sua presidenza. E quindi fa queste sortite per dimostrare che c’è ancora”.

Per usare un’espressione di renziana memoria, dunque, per lei sono gufi?
“Ma c’è dell’altro. Mi chiedo quali siano le industrie che rappresenta Confindustria”.

In che senso?
“Secondo i dati dell’Ocse le imprese con più di 250 dipendenti in Italia sono lo 0,08%; quelle che hanno fino a 9 dipendenti sono il 95,32%; quelle da 10 a 49 il 4,11; e tra i 50 e i 249 lo 0,49%. Dubito che il 99,92% delle imprese italiane siano associate a Confindustria”.

Eppure…
“Eppure io mi preoccuperei molto di più della sopravvivenza di questo 99,92%. Anche perché credo che pure Confindustria sia d’accordo sul fatto che gran parte della colpa, per quanto riguarda i problemi di sblocco dei cantieri tanto invocato da Boccia, sia imputabile a quelle regole che noi abbiamo adottato obtorto collo su specifiche direttive europee che ricordo sono fatte a immagine e somiglianza dei grandi agglomerati aziendali e non certo delle piccole e medie imprese”.

In quelle occasioni non si ricordano così frequenti dichiarazioni di Confindustria.
“Ecco: chiederei molto cortesemente al presidente Boccia dove fosse quando l’ex ministro Delrio approvava il Codice degli Appalti. E dove fosse il Centro Studi. Avevano preso un giorno di ferie?”.

Il Governo in carica ha detto che vuole modificare di sana pianta il Codice Appalti.
“Tenta di riparare il danno nel cercare di snellire le pratiche burocratiche per le aziende italiane. È un imperativo: se effettivamente ci sono 300 opere cantierabili che per ragioni burocratiche non riescono a partire, mi sembra quanto mai logico intervenire in questo senso, anche per rimettere in moto le economie locali”.

Eppure da Confindustria fino all’Fmi, c’è un mondo che non la pensa in questo modo. Hanno tutti torto?
“È l’evoluzione di quello che io chiamo il “Partito dello spread”. Poiché il differenziale è rientrato nel suo binario, è più agevole per un certo tipo di politica attaccare in campo economico, dimenticando però che c’è una crisi internazionale che sta investendo tutti i Paesi, in particolare quelli con cui noi abbiamo scambi commerciali consolidati, come la Germania. Assolutamente sì. Non si possono incolpare solo le politiche economiche italiane. E non mi risulta ancora che Di Maio e Salvini abbiano incarichi in Germania. Non mi risulta che siano vicepremier a Berlino”.

È curioso, però, che chi prima chiedeva maggiore austerità al Governo, oggi lo incolpa per non aver puntato su crescita e investimenti, non le pare?
“Beh, cosa vuole: sono i misteri dei riti compiuti in nome del “Partito dello spread”. Non ci resta che sperare nella rivoluzione elettorale di fine maggio, quando i cittadini potranno decidere che Europa vogliono”.