Costi extra-large per lo Stretto di Messina. Il ponte non c’è, le spese sì: la società ci costa ancora 2 milioni l’anno

Al di là di un contenzioso di oltre 300 milioni, ora spunta che la società Stretto di Messina ci costa ancora 2 milioni tra fitto, personale e acquisti vari

Una storia infinita. E che, forse, sarebbe quasi a tratti comica se non fosse che di mezzo ci sono tanti e tanti soldi. A cominciare da una richiesta di risarcimento che supera i 312 milioni di euro per come calcolato da Vincenzo Fortunato, commissario liquidatore della Sdm, società Stretto di Messina. Ma intanto, nell’attesa che giunga a soluzione la querelle sul Ponte, che va avanti a suon di ricorsi e che vede il Governo opporsi alle legittime richieste della concessionaria, continuiamo a pagare la stessa società. Pure se, di fatto, il Ponte non c’è e, probabilmente, al di là di annunci bislacchi (come l’ultimo dell’ex premier Matteo Renzi), mai ci sarà. È un particolare, questo, che emerge dall’ultima relazione della Corte dei Conti, pubblicata ieri, che fa il punto sulla “ridefinizione dei rapporti contrattuali della società Stretto di Messina”. Rapporti che, com’è facile immaginare, non sono poi così rosei. Basti questo: dopo vari tira e molla, è stato il Governo di Mario Monti ad aver posto la parola fine al mega-progetto molto caro, negli anni passati, a Silvio Berlusconi. È infatti con un decreto legge del 2012 che si è stabilito che “per lo svolgimento delle attività liquidatorie è nominato un commissario”, che avrebbe dovuto concludere le operazioni entro, “e non oltre”, un anno dalla nomina. Poiché questa è avvenuta il 15 aprile 2013, “il termine per la liquidazione è ampiamente scaduto”. Da oltre due anni. Certo, la partita non è facile considerando la posta in gioco dato che, come detto, in 32 anni, dal 1981 (anno di nascita della società) al 2013, i cosiddetti “oneri sostenuti per lo sviluppo del progetto dell’opera” hanno sfondato quota 300 milioni; ma il ritardo resta colossale.

Paga Pantalone – Nell’attesa che la partita giunga a una soluzione finale (come auspicano espressamente i magistrati contabili secondo i quali “risultano necessarie iniziative  volte a rendere più celere la liquidazione della concessionaria”), continuiamo a mantenere e a pagare la struttura della società. E se è vero che negli anni il monte spesa è calato (nel 2013 era superiore agli 8 milioni di euro), nel 2015 ancora abbiamo sborsato circa 2 milioni. Per pagare cosa? Presto detto: nonostante sia stata chiusa la sede di Messina, resta da pagare il fitto degli uffici di Roma (148mila euro), il materiale informatico e quello cartaceo, il personale per le operazioni liquidatorie, lo stesso commissario liquidatore (la cui retribuzione tocca quota 135mila euro) e l’acquisto di pubblicazioni varie, per altri 26mila euro. Per un totale, come detto, di due milioni circa. Non poco. Ed è per questo che, scrive la Corte, “è necessario, considerata l’assenza di attività rilevanti, ridimensionare ulteriormente i costi della società, inclusi quelli degli organi sociali”. Tutto dipenderà dall’azione di Palazzo Chigi e ministero delle Infrastrutture dato che, osserva la Corte,  per ora non hanno fatto nulla “per por fine al contrasto con la concessionaria”. Che, intanto, si prolunga alle calende greche.

Tw: @CarmineGazzanni