Cucchi, cinque carabinieri rinviati a giudizio nell’inchiesta bis sulla morte del geometra romano

Cinque carabinieri sono stati rinviati a giudizio nell'inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi

Finiranno tutti a processo i cinque carabinieri indagati nell’inchiesta “bis” sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra romano deceduto nell’ottobre 2009 a Roma una settimana dopo il suo arresto per droga. La Procura ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio con l’accusa di omicidio preterintenzionale nei confronti di Francesco Tedesco, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, che avrebbero “spinto e colpito con schiaffi e calci” il geometra fino a pestarlo. Tedesco dovrà rispondere anche di falso nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e calunnia insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l’arresto. Mentre Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, è accusato di calunnia con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso.

Il processo per gli imputati comincerà il prossimo 13 ottobre davanti alla Terza Corte d’Assise. Nel procedimento si sono costituiti parte civile i familiari del giovane, il Comune di Roma, Cittadinanzattiva e gli agenti della penitenziaria accusati accusati nella prima inchiesta sulla morte del ragazzo. Cucchi, come si leggeva nell’avviso di chiusura delle indagini, atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, fu colpito a schiaffi, pugni e calci. Proprio quelle botte, per l’accusa, provocarono “una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale”, causando sul giovane “lesioni personali che sarebbero state guaribili in almeno 180 giorni e in parte con esiti permanenti, ma che nel caso in specie, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte”.

L’inchiesta bis della procura romana, coordinata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone ha preso il via dalla denuncia di un detenuto che aveva rivelato di aver parlato con Stefano dopo l’arresto e che il ragazzo gli aveva fatto il nome dei carabinieri, ma è stata una rilettura meticolosa delle carte della prima indagine a imprimere la vera svolta. Tra le novità c’è anche l’uscita di scena dei medici che ebbero in cura Stefano, per cui lo scorso aprile è scattata la prescrizione.

Il 31enne romano venne arrestato il 15 ottobre del 2009  a Roma perché sorpreso con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina. Quella notte, i carabinieri dopo aver perquisito la casa lo portarono in caserma e lo rinchiusero in una cella di sicurezza della caserma Appio-Claudio. La mattina successiva, nell’udienza del processo per direttissima, Stefano aveva difficoltà a camminare e parlare e mostrava evidenti ematomi agli occhi e al volto che non erano presenti la sera prima. Il giudice, nonostante le condizioni di salute del giovane, convalidò l’arresto, fissando una nuova udienza. Cucchi venne rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, ma le sue condizioni di salute peggiorarono e  il 17, venne trasportato all’ospedale Fatebenefratelli per essere visitato. Morì il 22 ottobre, pesava meno di 40 chili. “Finalmente i responsabili della morte di mio fratello, le stesse persone che per otto anni si sono nascoste dietro le loro divise, saranno chiamati a rispondere di quanto commesso”, ha commentato la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi.