Da Amato a Dini, Cinque Stelle e Lega calano la scure sulle pensioni d’oro

Scure in arrivo anche sulle pensioni d'oro. Cinque Stelle e Lega hanno presentato alla Camera una proposta di legge congiunta per tagliare 500 milioni

Il pensionato più “ricco” in assoluto è un ex manager Telecom che, ogni mese, porta a casa 91.337 euro. Molto di più rispetto alla pensione di Mauro Gambaro, ex dirigente Interbanca, che si ferma a 52mila euro al mese. Alberto De Petris, ex Infostrada, lo tallona con un mensile da 51mila euro. Vito Gamberale, amministratore delegato di F2i, si ferma a 45mila euro al mese, stesso importo di Alberto Giordano, ex di  Jp Morgan. Senza dimenticare forse il più noto tra i super pensionati: Giuliano Amato. Quando Giorgio Napolitano nel 2013 lo ha nominato giudice della Corte Costituzionale, l’ex presidente del Consiglio percepiva 31mila euro lordi al mese: 22mila come pensione per i vari incarichi svolti nella sua carriera e 9mila di vitalizio come ex parlamentare.

La pacchia, però, potrebbe presto finire per loro come per i tanti italiani che portano a casa pensioni d’oro. Il Movimento Cinque stelle e la Lega, infatti, hanno presentato alla Camera un disegno di legge congiunto con il chiaro obiettivo di tagliare gli assegni aurei che finora sono stati elargiti senza colpo ferire. Il ddl porta la firma dei due capigruppo del Carroccio e del Movimento, Riccardo Molinari e Francesco D’Uva.

Il disegno – L’obiettivo dichiarato, leggendo  nel dettaglio la proposta di legge, è tagliare gli assegni al di sopra dei 4mila euro netti per destinare i risparmi di spesa alle pensioni minime e sociali, portandole dagli attuali 450 euro mensili a quota 780. Il gruzzoletto, d’altronde, non è di poco conto se si considera che il ricalcolo, secondo stime del Sole 24 Ore, toccherebbe tra i 75mila assegni e i 100mila soggetti e porterebbe ad un risparmio tra i 300 e i 600 milioni di euro. Non a caso i proponenti stessi parlano mediamente di un taglio che si aggira intorno al mezzo miliardo.

L’intervento di ricalcolo prenderà in considerazione il reddito pensionistico complessivo lordo sopra gli 80mila euro annui in caso di soggetti titolari di più pensioni ma – è bene precisarlo – sono escluse le pensioni di invalidità, le reversibilità e i trattamenti riconosciuti alle vittime di attentati terroristici o mafiosi. Il tutto con una salvaguardia ben precisa: il ricalcolo non potrà ridurre pensioni o vitalizi al di sotto della soglia degli 80mila euro lordi annui. Visti  i precedenti, c’è già chi ha fatto notare la possibilità che piovano ricorsi su ricorsi nel caso in cui il ddl dovesse diventare legge.

Anche su questo la corazzata M5S-Lega è pronta, visto che, dicono i ben informati, già è stata predisposta un’articolata argomentazione a favore del metodo di ricalcolo scelto che dovrebbe in tranquillità superare il vaglio costituzionale poiché conforme “ai principi di solidarietà, uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza”. Ma non è tutto: le due forze di maggioranza non sembrano disposte a perder tempo, dato che è stata annunciata l’intenzione di calendarizzare il disegno di legge già a settembre. Subito dopo il rientro dalle vacanze estive. “Si metterà fine ad un sistema di disuguaglianze diventato insopportabile”, ha detto non a caso D’Uva. Un plauso trasversale si è levato davanti alla proposta di legge. Salvo qualche critica che, ovviamente, non poteva che arrivare dal mondo dirigenziale. Contro la proposta, infatti, si è espressa la Cida, confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità. “La soglia, infamante, del privilegio pensionistico è stata finalmente certificata: 80mila euro lordi l’anno, ed è stata inserita in un progetto di legge governativo”, ha commentato il presidente Giorgio Ambrogioni.

La top ten – Ma andiamo a vedere, allora, chi sono i protagonisti, loro malgrado, di questo “sistema di disuguaglianze”. Gli ultimi dati noti  e ufficiali risalgono al 2013 dopo che il sottosegretario al Welfare di allora, Carlo Dell’Aringa, rispondendo in commissione Lavoro della Camera a un’interrogazione di Deborah Bergamini (Pdl), ha rispolverato l’albo delle “pensioni d’oro”, riaprendo il file delle polemiche. La “pensione d’oro” per eccellenza, secondo stime risalenti a qualche anno fa, spetta all’ex manager di Telecom che arriva a quota 1.173.205 euro lordi l’anno. In pratica, più di 3mila euro al giorno. Un vecchio articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera calcolava che il dirigente della compagnia telefonica percepisse l’equivalente di 107 pensioni al minimo. Tanto per capirci.

Via via tutti gli altri già menzionati. Scorrendo la top ten previdenziale c’è un salto fra il primo e il secondo posto, che si “ferma” a 66mila euro e rotti. Il titolare in questo caso non è noto, mentre al terzo posto con circa 51.781 euro, dovrebbe esserci Mauro Gambaro, ex direttore generale di Interbanca e di Inter Football Club. A seguire, Alberto De Petris, ex di Infostrada e Telecom, che porta a casa circa 51 mila euro. Segue Germano Fanelli, fondatore della Octotelematics, che nel 2010 accumulava dieci incarichi differenti. Dal quinto a decimo posto della classica si resta nella fascia dei 40 mila euro, esattamente da 47.934,61 a 41.707,54 euro.

In questo ambito dovrebbero ritrovarsi manager come Vito Gamberale, amministratore delegato di F2i, oppure Alberto Giordano, ex Cassa di Roma e Federico Imbert, ex JP Morgan. C’è poi tutta la sfilza di ex onorevoli che cumulano pensioni varie e vitalizi. Due nomi su tutti: Lamberto Dini incassa 18mila euro da Bankitalia, 7mila dall’Inps e 19.054 dal Senato; Giuliano Amato invece cumula 22.048 euro mese dall’Inps coi 9.363 che gli elargisce, invece, il Parlamento. Va ripetuto che si tratta di assegni maturati nella più totale legalità e correttezza, ma certo le cifre fanno impressione, visto che sono molto, molto più alte del reddito medio annuo di una famiglia italiana. Ora si attende solo che l’ingiustizia abbia termine. Già a partire da settembre.