Da imprenditore pagava il pizzo. Ora fa lo sceriffo contro la mafia. Finiti in manette tre estorsori trapanesi. Nel mirino il leader della Confindustria locale

di Nicoletta Appignani

Dopo la sua elezione a presidente di Confindustria di Trapani, lo scorso maggio, Gregorio Bongiorno non aveva mancato di ringraziare e ricordare il lavoro svolto dal predecessore e amico Davide Durante, con il quale aveva condiviso un percorso di rilancio dell’Associazione, reso difficile dalla congiuntura economica e da un impegno molto deciso sui temi della legalità e della lotta alla mafia. Temi, questi, di cui il nuovo Presidente aveva preannunciato la centralità anche durante il proprio mandato. E forse è stato questo nuovo incarico a dargli il coraggio di denunciare chi gli chiedeva il pizzo. Persone che in passato, per la stessa paura che colpisce tutte le vittime di estorsione, aveva pagato. Mafiosi che ora pretendevano da lui 60mila euro.

Legami di 24 anni fa
La storia affonda le radici nel luogo in cui si svolge, un posto in cui la mafia rappresenta un problema da decenni. E per l’azienda di Gregorio Bongiorno, la Agesp, non è certo una novità. Vincenzo Bongiorno, padre del presidente di Confindustria Trapani, viene ucciso a Castellammare del Golfo quando il figlio ha appena 14 anni. È il 1989 e secondo gli inquirenti l’omicidio sarebbe un regolamento di conti in seno a una famiglia mafiosa del posto. L’imprenditore, pur essendo incensurato, è infatti ritenuto dagli investigatori contiguo alla mafia storica castellammarese: quella dei Buccellato, dei Plaia, dei Magaddino, legata ai Rimi di Alcamo e ai Minore di Trapani. Tuttavia sull’omicidio non si riesce a fare luce e anche negli anni seguenti nessun pentito fornisce elementi utili a chiarire la vicenda. Quella che arriva a noi è la tesi degli investigatori dell’epoca, secondo i quali Vincenzo Bongiorno viene ucciso perché sgradito ai reggenti della cosca del tempo: quella di Gioacchino Calabrò e Michele Mercadante. Quel che è certo, è che nel collegio sindacale dell’Agesp, società fondata nel 1971 dall’imprenditore poi assassinato, negli anni Ottanta c’è un commercialista processato per favoreggiamento nei confronti del boss Vincenzo Sinacori, poi divenuto collaboratore di giustizia. Morto Vincenzo Bongiorno, l’azienda viene guidata fino al 2004 dalla vedova, Girolama Ancona, che denuncia e fa arrestare boss del calibro di Mariano Saracino e Francesco Domingo, detto “Ciccio Tempesta’’, che cercano di estorcere denaro all’Agesp dopo l’uccisione del fondatore. Girolama Ancona gestisce l’azienda fino alla sua morte, nel 2004. Dopodichè subentrano Gregorio e la sorella minore Silvia, che prendono le redini della società di famiglia. E cambiato il proprietario, la mafia ci mette poco a tornare a battere cassa. Prima si tratta di 10mila euro, poi Fausto Pennolino, uno dei tre uomini arrestati nella notte di mercoledì scorso, accompagna Gregorio Bongiorno da Mariano Asaro, boss di spicco del trapanese, soprannominato “l’americano” per il suo presunto ruolo di collegamento con Cosa nostra americana. A lui l’imprenditore è costretto a versare 5mila euro. La storia finisce soltanto nel 2007, quando la Dia arresta i tre presunti estorsori di Bongiorno per reati diversi. In manette finiscono Fausto Pennolino, Mariano Asaro e Gaspare Mulè. Ed è proprio quest’ultimo, secondo la ricostruzione fornita da Bongiorno, che il mese scorso si presenta dal presidente di Confindustria Trapani pretendendo il denaro.

Fuori dal carcere
Gaspare Mulè, appena scarcerato, avrebbe chiesto a Gregorio Bongiorno di pagare il pizzo per l’anno in corso e per tutti gli anni in cui nessuno si era potuto presentare a pretendere il denaro. Non solo i 10mila euro “dovuti” nel 2013, quindi, ma anche gli arretrati che non erano stati riscossi durante gli anni di galera: altri 50mila euro.
Da qui la denuncia di Gregorio Bongiorno. Le indagini, condotte dalla squadra mobile di Trapani e dirette dal vicequestore Giovanni Leuci, hanno portato in meno di un mese all’arresto di Mulè, Pannolino e Asaro, raggiunto dal provvedimento nel carcere in cui sta scontando una condanna definitiva fino al 2024. “Oggi, più che mai, è il tempo di alzare la testa”, commenta Gregorio Bongiorno. E il presidente di Confindustria di Trapani il suo esempio adesso l’ha dato.