Da quando siete nati ho cercato di individuare mille pericoli: la lettera ai figli per la festa della mamma

Cari figli, è la festa della mamma. Una liturgia delicata omaggia oggi il nostro ruolo. E io sento una grande responsabilità. La lettera di Francesca Barra

Cari figli,

è la festa della mamma. Una liturgia delicata omaggia oggi il nostro ruolo, come da abitudine.  Eppure io sento una grande responsabilità, ancor prima del piacere di festeggiare con fiori o disegni, cioccolatini e poesie.

Perché per sentirmi pienamente appagata e felice dovrei sapere di avervi protetti abbastanza.

Da quando siete nati ho cercato di individuare mille pericoli in agguato da cui tenervi alla larga: soffocamento, le auto, i lettini, la scuola, il parchetto, gli animali. Perfino un raffreddore o una caduta mi sono sembrati ostacoli per la vostra crescita serena.

In questi giorni mi sono accorta che sono assai più numerosi e mimetizzati, di quanto immaginassi. E ancora più infimi perché apparentemente innocui.

Si chiamano pregiudizi, giudizi. Pietre.

Oggi sono sotto processo i boccoli di una bambina vittima, di cinque anni, poi sarà un abito scollato, i capelli biondi, il rossetto rosso.

Figlia mia, quindi, in che mondo ti farò crescere? Sono più pericolosi i pregiudizi, ciò che vorranno vedere di te oltre la tua innocenza, dei pericoli dai quali tentavo di proteggerti.

Io sono adulta. Quando hanno deturpato il valore del mio lavoro con illazioni e sorrisini, anteponendo ad esso il biondo dei capelli o il rosso di uno smalto, avevo già allenato la mia dignità ad essere impermeabile alle critiche. Ma con te, come farò? Dovrò sempre vegliare sul tuo abbigliamento perché ti diranno che una spallina abbassata, un boccolo morbido sulla fronte, un tacco indossato di sera, potrebbe indurre pensieri molesti ed anche giustificarli?

Dovrò insegnarti che legare i capelli è  più ordinato e sicuro di una chioma selvaggia e ribelle?
Dovrò seguirti, imporre l’ipocrisia di un abito rigoroso o riconosciuto come tale, della forma, perché potrei anche io essere perseguitata, giudicata, per aver indotto un malato, alla violenza?
Io ti guardo e vedo una bellissima bambina. Pura, pulita. E vorrei che fossi sempre fiera di te stessa. Non vorrei che fossi costretta a legarti i capelli. O a censurare le espressioni del tuo volto.

A tingerti i capelli di scuro o a mortificarti perchè, prima o poi, attirerai l’attenzione di qualcuno. Non ti vorrei rendere diffidente. Ma per qualcuno dovrei.

Io vorrei insegnarti a difenderti Emma, ma oggi certe parole pesano più delle pietre ed io posso solo dirti che la migliore difesa, e la tua forza, sarà la tua libertà.

Lo insegnerò a te e soprattutto a tuo fratello: nulla può giustificare una violenza.

Non so se sono una buona madre, ma spero di essere una madre buona. Per questo mi auguro- illudendomi- che lo diventi anche un po’ di più il mondo in cui stai crescendo.