Dal Fondo di garanzia vietato. Alla svendita dei prestiti. Così l’Europa ci ruba il credito. La sentenza che scopre l’abuso della Vestager è solo un tassello di un mosaico contro il nostro Paese

La commissaria Margrethe Vestager motivò lo stop al Fondo configurandolo come un vietatissimo aiuto di Stato

Tra l’inutile sfiducia a Toninelli e il tentativo di mandare a processo Salvini, per non parlare del terremoto giudiziario che ha travolto un esponente di punta dei Cinque Stelle a Roma, la clamorosa decisione europea sulle nostre banche ha fatto saltare dalla sedia giusto gli addetti ai lavori. Eppure quanto stabilito dalla Corte Ue cambia la storia del sistema bancario italiano e apre la strada a molti e delicatissimi scenari. Dopo che i giudici hanno stabilito il comportamento illecito da parte della Commissione di Bruxelles, che impedì di utilizzare il Fondo di garanzia interbancaria e così accelerò la crisi delle banche poi finite in risoluzione negli anni scorsi, il Governo italiano sta valutando di chiedere i danni per quel veto ingiusto e mal giustificato.

Nel mirino c’è prima di tutti la commissaria alla concorrenza e al mercato Margrethe Vestager, che motivò lo stop al Fondo configurandolo come un vietatissimo aiuto di Stato. Il Fondo però è alimentato solo da capitali privati, e dunque si commise un gravissimo abuso, costato miliardi agli istituti di credito saltati, a tutto il comparto bancario che vide scendere il valore delle azioni sull’onda della sfiducia generata sui mercati, e infine da moltissimi obbligazionisti e risparmiatori che rimasero col cerino in mano, perdendo i loro soldi.

Chiarito con una sentenza che la Commissione non solo non ci aiutò, ma ci penalizzo sostenendo addirittura il falso, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, è stato il più veloce a ipotizzare una richiesta di risarcimento per i danni subiti in Italia. Mettendo per la prima volta l’Unione europea sullo stesso piano di uno Stato sovrano con il quale aprire un contenzioso tra pari entità, la vicenda certifica che ancora una volta invece di affidarci all’Europa dobbiamo starne in guardia. E dunque, al di là di come evolverà la faccenda, e se si arriverà o no a quantificare il danno, resta il dato “politico”: a Bruxelles non abbiamo amici.

Non c’era bisogno di questa sentenza – si dirà – per averne la prova, ma il seguito è persino più indecente, con la Vestager che adesso sostiene di non aver bloccato niente e prova a scaricare le colpe del mancato salvataggio delle banche su Via Nazionale. Bankitalia, insomma, avrebbe fatto deliberatamente quasi saltare il sistema, per un motivo che resta ignoto mentre si sa benissimo che i mercati internazionali si avvantaggiarono molto delle difficoltà delle nostre banche in quell’epoca.

Scriveva Agatha Christie che un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza ma tre indizi fanno una prova. Qui però di indizi che portano a una strategia deliberata contro l’Italia ce ne sono persino di più. La stessa motivazione che impedì di aprire l’ombrello del Fondo interbancario mentre veniva giù la tempesta, è in cima alle preoccupazioni per cui il ministro dell’Economia e Finanze Giovanni Tria non firma i decreti con cui si potrebbe cominciare a risarcire i truffati dalle banche. L’ipotesi che il miliardo e mezzo stanziato dal Governo Conte nell’ultima Manovra sia anche in questo caso ritenuto un aiuto di Stato, frena il Mef, preoccupato di conseguenze che potrebbero arrivare fino a una costosissima procedura d’infrazione.

Così, al danno di aver impegnato tanti soldi, aggiungiamo la beffa di non poterli dare a chi ha perso i propri capitali investiti in banche che secondo il sistema di vigilanza pubblico erano solide e affidabili. Ma c’è di più. Proprio ieri è arrivato un nuovo allarme sui cosiddetti Npl, cioè i crediti in pancia alle banche diventati poco esigibili a causa delle difficoltà o del fallimento di chi dovrebbe restituirli.

Le banche italiane notoriamente stanno facendo da anni una cura da cavallo per ridurre questi incagli che pesano sui bilanci, e di conseguenza hanno svenduto tali crediti per decine di miliardi, raggiungendo generalmente un livello ottimale tra capitale detenuto e impieghi. Nonostante tutto ciò, per la Banca centrale europea questo sacrificio non basta, ed ecco che ci viene chiesto di svendere ancora, mettendo sul mercato altri di questi Npl, in qualche caso persino azzerandoli, come è stato imposto al Monte dei Paschi di Siena senza alcuna trattativa con l’Italia.

Una decisione a dir poco esagerata, anche perché il primo azionista di Rocca Salimbeni è il ministero del Tesoro, e quindi in ultima istanza lo Stato. Ora va fatta una precisazione: chi compra questi Npl, quanto li paga e di chi è la proprietà di queste società acquirenti? Il sistema è semplice: le banche costrette a disfarsi in fretta delle somme diventate poco esigibili vendono un pacchetto di questi crediti che vale cento a un prezzo che può aggirarsi intorno al dieci per cento del valore nominale. Se chi compra sarà bravo a recuperare più di quanto speso, tutto il guadagno sarà suo.

In questo modo ci sono gruppi che stanno accumulando da anni miliardi, sottraendo questi denari alle banche che in passato riuscivano nel tempo a rientrare di percentuali molto più alte rispetto ai crediti svenduti in fretta e a quattro soldi. Ma tutti questi guadagni sottratti alle banche italiane dove vanno? Purtroppo in grandissima parte all’estero, dove hanno sede gli acquirenti di Npl. Se quello che state leggendo fosse un giallo della Christie non avreste bisogno di altre pagine per avere chiaro chi è l’assassinato e chi finisce assassinato.