Dalla cannabis alla tortura. L’Italia dei diritti dimenticati

I testi per la legalizzazione della cannabis e per il reato di tortura sono in discussione in Parlamento. Ma difficilmente verranno approvati. Ecco perché.

Ciò che è accaduto attiene a una pagina nera nella storia del nostro Paese. E se vogliamo affrontare quella pagina nera, la prima cosa da fare è introdurre subito il reato di tortura”. La pagina nera è l’irruzione della Polizia alla Diaz durante il G8 di Genova e la dichiarazione è di Matteo Renzi. Parole pronunciate appena dopo che la Corte di Strasburgo aveva condannato l’Italia imponendo, e non solo invitando, l’introduzione nel nostro codice penale del reato di tortura. Da allora è passato più di un anno e l’Italia non ha ancora introdotto alcun reato. Un ritardo, peraltro, che non è soltanto di un anno, ma di ben 30. Quello che spesso ci si dimentica, infatti, è che il nostro Paese ha ratificato a riguardo la Convenzione delle Nazioni Unite del 1984. Fa niente se nel testo si dica chiaramente che “ogni Stato parte adotta misure giudiziarie per impedire che atti di tortura siano commessi”.

Ora pare si sia giunti a una svolta. Il provvedimento, infatti, approvato in prima lettura alla Camera, era arrivato al Senato, dove tra silenzi e rinvii è stato abbandonato per un anno intero. Ma non solo. Perché nel frattempo c’è stato comunque modo di intervenire e in peggio. Tutta la polemica ruota attorno all’introduzione della parola “reiterate” accanto a “violenze”. Sembrerebbe una modifica superflua e invece non è così. È stato messo il plurale: una sola violenza non basta per configurare una tortura. Non è un caso che si sia aperta una battaglia a Palazzo Madama proprio per l’abolizione – come vorrebbe M5S – della parola introdotta furbescamente. Ma il risultato non cambierà: modificato il testo, il ddl dovrà tornare alla Camera. E intanto i tempi si allungano.

DIRITTI IN FUMO – Insomma, il premier incespica su quei diritti civili, che rivendica di aver portato in Italia. Ma in Parlamento rischia un’altra battuta d’arresto. Il 25 luglio arriva alla Camera la proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis. Tra le varie novità del ddl che vorrebbe introdurre “il principio della detenzione lecita di una certa quantità di cannabis per uso ricreativo – 5 grammi innalzabili a 15 grammi in privato domicilio – non sottoposta ad alcuna autorizzazione, né ad alcuna comunicazione a enti o autorità pubbliche”. Il testo è stato preparato dall’intergruppo parlamentare sul tema, che mette insieme esponenti di vari partiti: dall’ex radicale Benedetto Della Vedova al forzista della prima ora Antonio Martino, senza dimenticare il leader di Possibile Pippo Civati e deputati sia del Pd che del Movimento 5 Stelle. Nella “legislatura dei diritti” la questione dovrebbe essere molto sentita. Ma vista l’aria che tira, con le spaccature nel Nuovo Centrodestra, è difficile immaginare un’apertura della maggioranza. “Di droga non abbiamo bisogno e di divertirci con la droga ancora meno”, ha avvisato la deputata di Area popolare, Paola Binetti. Un annuncio dell’affondamento del provvedimento.