Giornali di partito: il denaro pubblico non basta. In 20 anni hanno intascato 238 milioni e hanno chiuso quasi tutti

Democratica & co. Giornali di partito: il denaro pubblico non basta. In 20 anni hanno intascato 238 milioni e hanno chiuso quasi tutti

Sarà un caso se per Democratica, il nuovo quotidiano lanciato il 30 giugno e diretto da Andrea Romano, il Partito democratico abbia scelto esclusivamente la forma digitale? No che non lo è. Anzi. Nonostante i soldi pubblici caduti a pioggia nelle casse dei giornali di partito negli ultimi vent’anni, infatti, soltanto due sono sopravvissuti. Gli altri? Hanno inesorabilmente chiuso i battenti l’uno dopo l’altro. L’ultimo caso noto in ordine di tempo è quello de L’Unità, che il 3 giugno scorso è sparito nuovamente da edicole e tablet dopo mesi di agonia, stipendi non pagati e polemiche al vetriolo fra il direttore Sergio Staino e il segretario del Pd, Matteo Renzi. “Non mi hanno detto nulla, hanno fatto tutto di nascosto”, ha attaccato il vignettista e “papà” di Bobo proprio mentre al Nazareno nasceva Democratica: “Mentre chiedevo incontri ai rappresentanti del Pd, nel frattempo stavano preparando questa nuova iniziativa, proprio con colui che era il mio condirettore (Romano, ndr) e che avevo allontanato perché rappresentava l’antigiornalismo in persona. Mi ha fatto difficoltà ogni volta che c’erano da pubblicare pezzi critici nei confronti di Renzi”.

Scaramucce a parte, dal 1993 ad oggi – come ha ricordato Openpolis – il quotidiano fondato nel 1924 daAntonio Gramsci ha incassato la bellezza di 62,6 milioni di euro di soldi pubblici, un terzo dell’intera torta (238 milioni). Una media di 2,8 milioni l’anno che non sono bastati a scongiurarne la chiusura.

Pecunia non olet – Come detto però il caso de L’Unità non è che la ciliegina sulla torta. A novembre 2014, per esempio, era toccato a La Padania dire “stop”. Al quotidiano leghista fondato nel ’97, direttoreGianluca Marchi, non sono bastati i 38,6 milioni incassati in 17 anni (2,2 milioni l’anno, alla faccia di “Roma ladrona”) per sopravvivere. Risultato? Cassa integrazione per tutti e passa la paura. Scherzo del destino, proprio negli stessi giorni in cui il giornale di via Bellerio cessava le pubblicazioni, anche Europa andava incontro allo stesso ineluttabile destino. Eppure l’organo de La Margherita, nato nel 2003 con direttore Nino Rizzo Nervo (attuale vicesegretario generale della presidenza del Consiglio) e poi passato nelle mani di Stefano Menichini (oggi capo ufficio stampa della Camera dei deputati) e Filippo Sensi, potente portavoce di Renzi a Palazzo Chigi e capo ufficio stampa del Pd, ha incassato 32 milioni e mezzo di euro in undici anni. Quasi 3 milioni l’anno. Tutto inutile.

Sopravvissuti – Non è finita. Il 19 marzo 2014 chiudeva i battenti pure Liberazione, il giornale di Rifondazione Comunista. Motivo? “Il deficit del giornale rischia di soffocare il partito, che non ha i soldi per coprire ulteriormente i buchi di bilancio”, spiegò l’allora segretario Paolo Ferrero. Quanto c’è costata? Un milione e mezzo l’anno dal ’93 al 2014. Totale: 31,9 milioni. Mica male. Gli unici “sopravvissuti” sono La Discussione, Zukunft in Südtirol e il Secolo d’Italia. Al primo, di ispirazione democristiana (lo fondò nel 1952Alcide De Gasperi), sono andati finora 7,9 milioni, al secondo – organo della Südtiroler Volkspartei – 6,1 milioni mentre al Secolo, diretto da Italo Bocchino e disponibile esclusivamente in versione online, 28,2 milioni. Ad avercene.

Twitter: @GiorgioVelardi