Desirée, la verità del Riesame. Non tutti uccisero nel branco. Solo due immigrati accusati di omicidio. Per gli altri resta il reato di stupro

A causare la morte di Desirée Mariottini furono il senegalese Mamadou Gara e il ghanese Yusif Salia

Per il tribunale del Riesame non c’è nessun dubbio, a causare la morte di Desirée Mariottini, la sedicenne stuprata e lasciata morire il 18 ottobre scorso in uno stabile occupato a San Lorenzo, sono stati il 27enne senegalese Mamadou Gara, detto Paco, e il 32enne ghanese Yusif Salia. I due, come disposto dal tribunale della Libertà, restano in carcere con la pesante accusa di omicidio e violenza sessuale. Ma ieri, oltre alla conferma della misura imposta al più grande dei due assassini, sono state depositate anche le motivazioni scritte dagli stessi giudici nei confronti del 47enne nigeriano Chima Alinno detto Sisco. Quest’ultimo, come per il 43enne senegalese Brian Minthe, era stato scagionato dalla più atroce delle accuse, ovvero quella di omicidio volontario, pur restando in carcere perché ritenuto responsabile degli indicibili abusi sessuali subiti dalla ragazza di Cisterna Latina.

Alla base della decisione dei giudici, così come si legge nell’atto, sono state proprio le testimonianze rese dalle persone presenti in quei terrificanti attimi secondo cui: “Molti descrivono una scena nella quale Sisco si rifiuta di dare stupefacenti a Desirée che insistentemente lo richiede”. Motivo questo che ha convinto il Riesame del fatto che il quadro indiziario nei confronti di Alinno non fosse sufficiente a reggere l’accusa, rivolta dalla Procura di Roma a tutti e quattro gli africani, di aver somministrato o quanto meno ceduto alla vittima le sostanze sia narcotiche che stupefacenti.

All’indagato, sempre secondo il Riesame, non è possibile neanche imputare il reato di omicidio perché “la morte di Desirée non può essere ritenuta in alcun modo conseguenza di un’azione volontaria da parte dell’indagato”. Sempre dalla lettura degli atti emerge anche un ritratto terrificante di Sisco che, come descritto da una testimone, appare come: “Un viscido, un animale che si approfitta di tutte le ragazze che vanno lì perché chiede costantemente prestazioni sessuali in cambio di cocaina”. Non manca negli atti il parere del medico legale secondo cui Desirée subì una violenza sessuale “da più persone”. Ciò emergerebbe dalle “devastanti conseguenze riportate” sul suo corpo e dal fatto che, secondo lo specialista, la ragazza era “completamente inerte”.

Eppure la ricostruzione dei giudici del tribunale della Libertà risulta in netto contrasto con quella del procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pubblico ministero Stefano Pizza. Secondo loro, Desirée lo scorso 18 ottobre era entrata nell’edificio di via dei Lucani, noto ritrovo di pusher del quartiere, perché in grave crisi di astinenza. Pur senza soldi in tasca, la giovane era disposta a tutto pur di ottenere una dose e placare i propri demoni. Anche a seguire quei nordafricani all’interno di una sudicia stanzetta dove aveva inizio il suo calvario con il branco che, secondo i pm, consapevole dei rischi, le somministrava lo spaventoso mix di sostanze per renderla incosciente e abusarne fino a causare il decesso, sopraggiunto dopo 12 ore di agonia.