Monte dei Paschi, dietro al salvataggio il solito banchetto di banche estere e consulenti

La grancassa delle ultime ore alimenta sospetti. Ma i dettagli dell’operazione rivelano che il sedicente salvataggio di Monte dei Paschi è un maxi banchetto

di Stefano Sansonetti

La grancassa suonata nelle ultime 48 ore dovrebbe già alimentare qualche sospetto. Ma basta addentrarsi un po’ nei dettagli dell’operazione per capire che il sedicente progetto di salvataggio di Mps è in realtà un maxi banchetto “autoapparecchiato” dal solito stuolo di banche estere e consulenti. Il tutto con coinvolgimenti piuttosto clamorosi, se solo si considera che in questa triste vicenda rispuntano alcune istituzioni finanziarie che in un certo senso hanno contribuito a gettare la banca senese nel baratro. Il piano, per esempio, prevede il tanto decantato aumento di capitale da 5 miliardi di euro per il cui buon esito sono accorse 8 banche d’affari. Peccato che nessuno si sia soffermato sulla composizione  del cosiddetto consorzio di garanzia. Tra questi istituti, per dire, c’è la banca spagnola Santander.

IL DETTAGLIO
Domandina: ma non era stato proprio il Santander nel 2007 a rifilare a Mps quel bidone di nome Antonveneta, la cui digestione è stata l’inizio del dramma senese? Eh sì, era il Santander guidato dalla famiglia Botin, molto vicina all’Opus Dei. Gli spagnoli all’epoca misero a segno un plusvalenza di 2,4 miliardi di euro, lasciando in mano a Mps una bomba a orologeria. Ancora oggi il motivo per cui l’istituto senese abbia fatto questo favore agli spagnoli, e su pressione di chi, non ha una “spiegazione”. Nel frattempo il Santander rispunta tra le banche che, bontà loro, dovranno aiutare il Montepaschi a trovare 5 miliardi. Nello stesso consorzio di garanzia c’è l’immancabile Goldman Sachs. Per puro caso dalle file della banca americana arriva il prodiano Massimo Tononi, da qualche mese presidente della stessa Mps. Capofila di questo consorzio di garanzia, poi, è la “magnanima” Jp Morgan, altra banca d’affari a stelle e strisce che nel 2015 ha messo a segno un utile di 24,4 miliardi di dollari. Jp Morgan, di cui nel frattempo è diventato un pezzo grosso l’ex ministro del Tesoro Vittorio Grilli, era già consulente di via XX Settembre per la costituzione della famosa “bad bank” in cui scaricare i crediti deteriorati delle banche. Ma nel gennaio del 2016, come rivelato da La Notizia, ha diffuso tra gli investitori un dossier in cui lanciava il seguente invito: “avoid italian banks”, ovvero “evitare le banche italiane”. Una specie di doppio gioco di cui in Italia sembra non essersi accorto quasi nessuno.

SOLDI
Inutile dire che questo consorzio di banche (ne fanno parte anche Mediobanca, Citi, Credit Suisse, Deutsche Bank, Bofa Merril Lynch) sarà lautamente pagato. A farlo presente, in un’intervista a La Nazione di domenica scorsa, è stato Lorenzo Codogno, ex capo economista del ministero del Tesoro. Il quale ha spiegato che “si tratta di un’operazione a rischio: le commissioni che si prenderà il consorzio di banche d’affari sono alte, in linea con i rischio che si assumono questi istituti”. Per non parlare del primo passaggio del piano di rilancio di Mps, ovvero la cessione a una società veicolo dei 27 miliardi di crediti deteriorati lordi a un prezzo di poco più di 9 miliardi. Ma la società veicolo, in prima battuta, per comprare questi crediti potrà essere assistita da un prestito erogato dalla stessa Jp Morgan. Che certo non fa beneficenza e vorrà guadagnarci sopra. La realtà è che sulla carcassa di Mps ormai stanno facendo capolino decine di avvoltoi. E questa è la fine di una delle pagine più buie della storia finanziaria italiana.