L’ultimo scherzo della Raggi: niente Carnevale a Roma. Ancora una volta vince il No: tutte le promesse su turismo e sviluppo restano una farsa

L'ultimo scherzo della Raggi: niente Carnevale a Roma. Ancora una volta vince il No: tutte le promesse su turismo e sviluppo restano una farsa

Non è uno scherzo: quest’anno a Roma non ci sarà il Carnevale. La decisone della sindaca Raggi ha colto di sorpresa, anche se i tagli ad ogni occasione di creare valore sulla città sono ormai una costante. L’approvazione lampo di un bilancio scarnificato di qualsiasi novità che vada oltre l’ordinaria amministrazione sancisce ancora una volta l’incapacità di vedere la Roma del futuro, che rinascerebbe con una nuova configurazione strutturale, una forte ottica di riqualificazione ridistributiva e un’importazione di qualità degna delle altre grandi capitali. Così, la rinuncia al Carnevale chiude un semestre di rinunce pesanti, figlie di un provincialismo politico che evita i rischi per non incorrere nelle difficoltà delle operazioni straordinarie: dalle Olimpiadi allo Stadio passando per le mancate previsioni in bilancio del recupero di opere come la Città dello Sport di Tor Vergata, la chiusura dell’anello ferroviario, il potenziamento delle linee metropolitane e la riqualificazione del Tevere o dei mercati generali.

Impegni traditi – L’amministrazione grillina si pone alla stregua delle precedenti: dalle promesse elettorali di aumento di risorse in ogni settore (grandi opere, manutenzione, aree verdi, riqualificazioni) alla realtà di dissesto economico ereditato nei decenni che non permette, a chi non riesce a interpretare il potenziale della Capitale, di vedere oltre al muro dei debiti per creare valore aggiunto. Vittima di un gioco di riflessi negativi, Roma rispecchia non soltanto il disagio del Paese, ma anche le conseguenze peggiori del mercato globale in espansione: La sperequazione tra i 15 municipi della Capitale raggiunge percentuali altissime. Il record negativo si raggiunge paragonando i Municipi 2 e 6 (in estrema sintesi la zona centro-nord e le Torri) che confrontati su parametri essenziali quali Reddito, Istruzione e Salute producono rapporti di 1:2, 1:2 e 1:3 rispettivamente, a netto svantaggio della periferia (fonte mapparoma.it). Continuare le politiche di distribuzione di pochi spiccioli per municipio (circa 10 milioni di euro in 5 anni) in base al numero degli abitanti certamente non porterà alla soluzione dei problemi né alla riduzione delle disuguaglianze.
Aumentare le tasse in nome di una finta ridistribuzione è un altro retaggio di una cultura politica superata dai tempi.

Persi grandi capitaliPer affrontare la sfida della globalizzazione senza restarne vittima, Roma deve sfruttarne le storture sul mercato globale attirando a sé i portatori di ricchezza per poi ridistribuirla sui servizi essenziali. Parliamo di numeri: i miliardari (in euro) sono 2.500 nel mondo, mentre i “semplici” plurimilionari sono 15,4 milioni, dei quali 300 mila risiedono in Italia. Inutile spiegare che attrarre il turismo di lusso a Roma creerebbe infinite opportunità di guadagno ma tra il dire e il fare c’è dimezzo un’impostazione secolare di turismo di massa senza differenziazione dei servizi. Essenziale è creare esclusività per generare reddito da reinvestire a pioggia sui servizi quotidiani (mezzi pubblici, manutenzione ordinaria, pulizia) e generare lavoro per i romani. Quanto pagherebbe un multi milionario (o meglio ancora un miliardario) per una cena di coppia a lume di candela in uno storico monumento romano? Per una visita notturna esclusiva a un museo? Per un matrimonio esclusivo in un giardino storico? La potenzialità economica quotidiana di Roma è infinita, come le sue bellezze.

Non solo centro storicoProprio queste bellezze, che sono costantemente mortificate e dimenticate, devono tornare al centro di una visione innovativa del turismo. Rompere le catene del provincialismo significa ridisegnare gli itinerari turistici alternando al dominio incontrastato del centro storico, una promozione a tutti i livelli delle meraviglie dimenticate nelle zone meno centrali.
Le guide turistiche e i tour dei pullman non possono escludere siti come la Torretta o il Monte del Grano al Quadraro, storico mausoleo di Alessandro Severo, o il Parco Archeologico di Centocelle, o Villa dei Sette Bassi alle Capannelle. Spostandoci a Roma nord, è inaccettabile che un sito importante quale la Tomba del Gladiatore su Via Flaminia sia sconosciuto anche a molti dei romani stessi. La lista è lunga, come quella degli investimenti nuovi da fare a Roma: alcune ipotesi sono la riqualificazione degli studi di Cinecittà, o l’apertura di un Casinò (quello di Sanremo fattura 50 milioni all’anno) per esempio ad Ostia, che necessita di forti investimenti per uscire dal tunnel del degrado. Sembra un gioco di parole, ma per percepire un reale cambiamento a Roma, bisogna cambiare la percezione della città. La visione deve essere globale, lungimirante e improntata sulla dicotomia fra attrazione di un mercato potente, e ridistribuzione sul mercato ordinario dei servizi. Non è un caso se, mentre Roma soccombe sotto il peso di una spesa insostenibile per 62mila dipendenti pubblici, Parigi, Berlino e Amsterdam assumono architetti, progettisti e consulenti da tutto il mondo per ridisegnare le proprie politiche per i prossimi venti anni. Mentre in Francia approvano un piano comunale di crescita Parigi 2030, la giunta capitolina dice “No” a Roma 2024. Se si pensa alla politica, allora, il problema non è quale candidato arriverebbe oggi al ballottaggio (anche se non meraviglia di certo la vertiginosa caduta della Raggi nei sondaggi), ma quale candidato arriverà alla modernità.