Dopo l’uscita del Cavaliere ora via pure i sottosegretari

di Filippo Conti

Ora tutto dipende da Renzi. Che farà dopo l’8 dicembre?”. La conferenza stampa di Angelino Alfano è appena terminata e il ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello, si rilassa bevendo un aperitivo alla buvette di Palazzo Madama. “Senza Berlusconi il governo è più forte”, è il ragionamento di Quagliariello con alcuni senatori del Ncd, “ma la vera incognita è Matteo. Perché Renzi non potrà continuare a bombardare l’esecutivo come ha fatto finora. Va bene che adesso è in campagna elettorale per le primarie, ma dopo bisognerà fare un accordo con lui per mettere al riparo l’esecutivo”.

Obiettivo 2015
Nella nuova maggioranza senza Forza Italia uscita dal doppio scambio legge di stabilità-decadenza Berlusconi si guarda avanti. L’obiettivo del premier resta il 2015, ma in tanti spostano l’asticella più avanti. Consapevoli, però, che più tempo passa e più Renzi rischia di perdere il treno. “Un anno già è troppo, Renzi punta ad andare al voto tra sei-otto mesi. Altrimenti si brucia”, ragiona un senatore alfaniano durante il dibattito sul Cav. Insomma, la prospettiva è che dopo l’8 dicembre il governo cominci a traballare peggio che se fosse sul ponte del Titanic. Letta, però, esce da questo passaggio più forte. Aver perso per strada la parte più critica della sua ex maggioranza rende il suo esecutivo più stabile. Al riparo dalle fibrillazioni provocate da destra.

I numeri
Alla Camera non ci sono problemi: la nuova maggioranza può contare su 386 deputati, su un quorum di 316. In Senato i numeri sono assai più risicati: 167 su un quorum di 161, ovvero solo sei senatori in più. Ma i numeri con i quali è stata approvata la manovra di bilancio (17 senatori più del previsto) lo lascia ben sperare. Anche perché Alfano è foriero di buone notizie. “I nostri numeri rispetto a Forza Italia non possono che aumentare: nei prossimi giorni arriveranno due deputati e un senatore in più”, ha promesso il vicepremier al capo del governo. Il premier, del resto, non è dovuto nemmeno passare dalla remissione del mandato e da una nuova conferma in Parlamento, come gli aveva chiesto Forza Italia. Blindato, ancora una volta, da Napolitano. “La fiducia sulla legge di stabilità vale di per sé come una fiducia al governo”, ha fatto sapere il Colle.

Le dimissioni invocate
“Ora mi aspetto che i sottosegretari di Forza Italia traggano le conseguenze del passaggio all’opposizione”, ha detto Letta. Rivolto ai cinque esponenti azzurri ancora al governo: il viceministro agli Esteri Bruno Archi; i sottosegretari al Lavoro, Jole Santelli, e alle Infrastrutture Rocco Girlanda (tutti eletti nelle liste Pdl e dopo la scissione passati a Forza Italia); il sottosegretario alla Pubblica amministrazione, Gianfranco Miccichè (eletto con Grande Sud, alleato del Pdl); il sottosegretario agli Affari regionali, Walter Ferrazza (aderente al Mir, Moderati in Rivoluzione dell’imprenditore Samorì). C’è poi l’incognita se il tecnico di area centrodestra, Cosimo Ferri. Da loro Letta si aspetta le dimissioni. Ma qualche problema ci sarà anche a livello di commissioni. Dove il capo del governo non potrà pretendere nessun passo indietro. Non sarà semplicissimo, però, governare con sei importanti commissioni a presidenza forzista: Nitto Palma e Matteoli a Giustizia e Lavori Pubblici a Palazzo Madama; Paolo Sisto, Elio Vito, Daniele Capezzone e Giancarlo Galan rispettivamente presidenti delle commissioni Affari costituzionali, Difesa, Finanze e Cultura di Montecitorio.

La nuova opposizione
Ma, dicevamo, nonostante la coppia Berlusconi-Grillo all’opposizione qualche pensiero lo dà, i veri pericoli per il governo Letta arriveranno dal Pd a guida Renzi. Per questo motivo nell’entourage del presidente del consiglio e tra i ministri si fa il tifo per un risultato non travolgente del sindaco di Firenze. Addirittura qualcuno spera (e gufa) che Matteo non superi il 50 per cento, così da dover passare per le forche caudine dell’assemblea nazionale democratica. Difficile, ma non impossibile. Sta di fatto, però, che più dalle urne delle primarie uscirà un Renzi debole, meglio sarà per Letta. E per la sua nuova maggioranza. Appena varata sulla testa rotolante del Cavaliere.