Dopo Monti, Bersani. E’ ora di farsi da parte

di Aldo Forbice

Mario Monti, tirato per i capelli dalle improvvise dimissioni di Giulio Terzi da ministro degli Esteri ha messo da parte il suo tradizionale aplomb e si è difeso in parlamento con grande imbarazzo. Le sue parole, però, sono state accolte con viva disapprovazione, ironia e sarcasmo da diversi settori.

Se prima di questo episodio il governo dei tecnici non aveva lasciato un buon ricordo, ora le “liti tra comari” (che sembra essere stata una costante di questo esecutivo col ruolo da pompiere affidato proprio al prof bocconiano) ha confermato che dei tecnici non è più il caso di fidarsi. Quelle poche riforme che Monti ha realizzato (col più grande sostegno politico-parlamentare dal dopoguerra, cioè con i voti di Pdl, Pd e Udc-Fli) sono nate “azzoppate”. Ricordiamo, in sintesi, quella previdenziale, che passerà alla storia per avere allungato l’età pensionabile, ma soprattutto per aver dato luogo al fenomeno degli esodati (niente più lavoro, ma neanche pensione). Grazie a quel genio della ministra Fornero, elegantissima nei suoi tailleur, ma che si è rivelata non così esperta come ci era stata descritta. Il costo per lo Stato, almeno fin’ora, è di centinaia di milioni di euro. La cifra esatta, per la verità, non è ancora nota, ma è certo che, secondo gli esperti, i vantaggi economici derivati dalla riforma sono stati già assorbiti dal costo degli esodati.
Poi c’è stata la riforma del mercato del lavoro, enfatizzata come quella che avrebbe definitivamente risolto la diatriba politico-ideologica sull’articolo 18; in realtà si è conclusa con la definizione di “inutile” data anche dalla Confindustria.
Anche l’altra riforma, la cancellazione delle province, si è risolta in un grande pasticcio.