Due anni di Mattarella e di silenzio. Ma ora il Quirinale è a un bivio: aiutare l’amico Renzi o tradirlo

In questi primi due anni dalla nomina, hanno sempre etichettato Sergio Mattarella come un presidente silenzioso. Ma in realtà ha sempre agito nelle retrovie

In questi primi due anni dalla nomina, che ricorrono proprio oggi, lo hanno sempre etichettato come un presidente silenzioso. A tratti persino “evanescente”. Ma non ci voleva granché a capire che Sergio Mattarella sarebbe stato un capo dello Stato che avrebbe agito nelle retrovie. Perché “la persuasione è più efficace se non viene proclamata in pubblico”, disse una volta ad alcuni studenti in visita al Quirinale. Tutto il contrario di quel Giorgio Napolitano che sedeva su quella poltrona prima di lui. Bastava leggere la sua storia ma, soprattutto, quel breve passaggio del suo discorso di insediamento: “Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione. È un’immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere, e sarà, imparziale”. Però adesso è tutto diverso. Adesso infatti Mattarella si trova a gestire quello che fin qui è stato ed è il momento più delicato dei suoi primi due anni al Colle. Un momento nel quale il silenzio non è contemplato.

Fischio d’inizio – Il fischio d’inizio della partita che il direttore di gara dovrà arbitrare alacremente è stato dato subito dopo il 4 dicembre, quando Matteo Renzi – che ne ha spinto la candidatura fino a rompere il “Patto del Nazareno” con Berlusconi – ha perso il referendum costituzionale. L’ex sindaco di Firenze sarebbe voluto tornare subito alle urne. Ma Mattarella ha fischiato una prima volta per segnalare l’offside, indicando la necessità di armonizzare le leggi elettorali, renderle “omogenee e non inconciliabili”. Poi si vedrà. E anche adesso che la decisione della Corte Costituzionale sull’Italicum è arrivata, proprio l’ex giudice della Consulta vuole aspettare le motivazioni (attese per metà febbraio) prima di dare il suo eventuale via libera.

Doppio binario – Mattarella insomma si trova di fronte ad una grande incognita: “dare una mano” al segretario del Pd, quell’aiuto che la minoranza del suo partito gli sta quotidianamente negando per “impallinarlo” una volta per tutte, togliendosi però i panni dell’arbitro, oppure andare avanti fino in fondo con la sua linea rischiando finanche di essere tacciato di “alto tradimento”. Una posizione certamente scomoda. Se da un lato, infatti, il capo dello Stato non vuole precipitare le cose, rischiando di consegnare all’Italia un altro Governo instabile, dall’altro è cosciente del fatto che difficilmente l’Esecutivo “fotocopia” di Paolo Gentiloni potrà arrivare fino alla scadenza naturale della legislatura (2018). Gli indicatori sullo sfondo sono tanti: dal lavoro “problema numero uno del Paese” fino alla delicata situazione delle banche, senza dimenticare la crescita a singhiozzo e lo spread tornato sopra quota 180 punti. Prima di prendere posizione, Mattarella aspetta la prova di maturità di un Parlamento rimasto finora immobile.  Chissà se arriverà. Ecco perché ad un certo punto l’arbitro silenzioso potrebbe fischiare tre volte. “Matteo” non aspetta altro.

Tw: @GiorgioVelardi