Ecco perché processare Salvini mette a rischio la democrazia. Neanche ai tempi di Mani pulite accadde una cosa del genere

Editoriale di Paolo Di Mizio su Salvini e il caso Diciotti

Quanto sta accadendo in questi giorni è potenzialmente più grave di quanto accadde nel ‘92 ai tempi di Mani pulite, allorquando la classe politica venne smascherata nelle sue ruberie e si ritrovò alla sbarra davanti ai giudici del pool di Milano. Allora finì la Prima repubblica. Oggi invece lo Stato di diritto potrebbe vedersi prevaricato da un atto eversivo. Mi riferisco alla richiesta di autorizzazione a procedere contro il ministro dell’Interno Salvini per la vicenda della nave Diciotti. L’accusa, surreale, è di “sequestro di persona” ed equivale a un tentativo di golpe istituzionale. Un colpo di mano felpato, con il quale una piccola frazione del potere giudiziario tenta di sopraffare il potere esecutivo, che ha ricevuto un legittimo mandato dalle mani del Capo dello Stato e una democratica investitura dal Parlamento.

L’organo giudiziario, in ogni democrazia, svolge la vitale funzione di bilanciamento dei poteri, in inglese chiamata “check and balance”. Ma i magistrati, non essendo eletti dal popolo, nelle democrazie non godono di rappresentanza politica. In altre parole, non hanno titolo per giudicare le decisioni del governo. Perché qui non ci sono dubbi: processare il ministro dell’Interno significherebbe processare l’intero governo e le sue politiche in materia di immigrazione, di difesa dei confini e di tutela dell’integrità territoriale, come confermava l’altro ieri, su questo giornale, anche il costituzionalista Federico Sorrentino.

Qualcosa del genere si è visto soltanto in America latina e in Europa dell’est. Ma lì il potere giudiziario era reso audace dall’appoggio occulto di potenze straniere. Dietro a questa farsa del processo ci sono ovviamente gli interessi di un partito, come il Pd, uscito a pezzi dalle elezioni, ma ancora forte di sudditanze e clientele nei gangli dello Stato. E forse è lecito chiedersi se ci sia anche la manina di poteri stranieri, magari europei, magari “amici”. Al momento non si sa come decideranno di votare i senatori del M5S a proposito dell’autorizzazione a procedere. Mi auguro che decidano di negarla, in base a ragioni di buon senso e di responsabilità. Il premier Conte ha già indicato la strada: ha detto che le azioni del ministro dell’Interno sono state le azioni dell’intero governo.

Perfino il presunto reato di cui è accusato Salvini, come faceva notare anche ieri il direttore di questo giornale, è stato di fatto spazzato via, perché la Corte europea dei diritti umani ha sentenziato che l’Italia, al di là di fornire acqua, cibo e medicine, non ha l’obbligo di far sbarcare e ospitare i migranti. Alto che sequestro di persona! La sentenza si riferisce al caso della Sea Watch 3, che però è identico a quello della Diciotti.

Votare a favore dell’autorizzazione a procedere sarebbe dunque un’enorme ingenuità. Non solo perché, come ho detto, finirebbe sotto processo l’intero governo. Ma anche perché, se Salvini fosse sottoposto a questa specie di “impeachment”, il governo cadrebbe immediatamente. La Lega non potrebbe in alcun modo continuare a sostenere un alleato che porta sull’altare del sacrificio il leader stesso della Lega. La caduta del governo sarebbe seguita a breve da elezioni politiche, nelle quali Salvini farebbe fruttare l’enorme vantaggio del suo ruolo di martire. Facile previsione: un risultato plebiscitario per la Lega, mentre difficilmente il popolo comprenderebbe le ragioni del M5S. So benissimo che l’autorizzazione a procedere fa parte dei miti fondanti del Movimento. Ma per amor del cielo: non in queste circostanze, non in questo modo, non per questi fini.