L'Editoriale

Ci mancava il reato di detenzione abusiva di carriola. I pm hanno tempo da perdere

L'inchiesta sul padre del vicepremier Di Maio è microscopica e surreale in un Paese dove gli abusi edilizi hanno massacrato il territorio

Il reato ipotizzato dovrebbe essere quello di detenzione abusiva di carriola. Non è chiaro a quanto ammonti la pena prevista, a parte la gogna mediatica rafforzata dal fatto che l’indagato è il padre di un vicepresidente del Consiglio. La vicenda è microscopica e persino surreale in un Paese dove gli abusi edilizi hanno massacrato il territorio e le ecomafie si sono riempite le tasche infilando migliaia di tonnellate di rifiuti in buche aperte senza che nessuno si accorgesse di niente. Al centro c’è il piccolo imprenditore Antonio Di Maio, già sdegnosamente segnalato alle cronache per aver assunto un paio di lavoratori in nero, al quale hanno trovato una carriola e quattro calcinacci dentro un suo terreno di campagna.

Una situazione identica a quella di gran parte dei proprietari di piccoli giardini, ma che nel caso specifico ha fatto scattare l’apertura di un procedimento da parte della Procura di Nola per deposito incontrollato di rifiuti. Un atto probabilmente dovuto dopo l’accertamento della polizia municipale nell’appezzamento di terreno attiguo alla vecchia masseria della famiglia Di Maio nel Comune napoletano di Mariglianella. Una storia che si commenterebbe da sola se non fosse che per gli avversari politici dei Cinque Stelle è la prova provata della disonestà financo del suo leader, mentre per gli attivisti del Movimento si tratta dell’ennesimo riscontro di una guerra portata avanti con ogni mezzo contro il cambiamento politico e i suoi protagonisti.

In mezzo c’è un immenso problema del quale nessuno vuol farsi carico, e cioè l’insostenibilità dell’obbligo dell’azione penale, un principio a garanzia della giustizia uguale per tutti, ma che nelle attuali condizioni della nostra magistratura è solo un ulteriore fattore di negazione dei diritti per chi subisce i torti seri. Infatti, a furia di riempire le Procure con ogni genere di accuse, spesso pretestuose quando non temerarie, alla fine anche i processi importanti finiscono alle calende greche. Il massimo della giustizia, insomma, finisce per determinare il massimo dell’ingiustizia, perché nei processi per le questioni serie troppo spesso è intervenuta la prescrizione, salvando chi ha commesso gravi reati, grazie a un meccanismo che il Governo sta cercando adesso di mitigare, ovviamente in aperto contrasto con gli avvocati.

Ma torniamo alla vicenda della famiglia Di Maio, che nelle ultime settimane è stata gettata in pasto all’opinione pubblica come è giusto che sia nel caso dell’accertamento di gravi responsabilità. Nella storia di cui parliamo questi fatti gravi però non ci stanno, a meno di voler considerare la detenzione di una carriola come abuso, sia questo di carattere edilizio che ambientale. Quello che resta, anche grazie alla facile strumentalizzazione di un’inchiesta che i magistrati avranno dovuto aprire controvoglia, è il barbaro accostamento che si sta facendo sui social network e su qualche giornale palesemente schierato contro i Cinque Stelle, mettendo nello stesso calderone Di Maio padre e chi ha commesso giganteschi illeciti. Poco importa se poi c’è una siderale differenza tra vicende come quelle che coinvolgono la famiglia del vicepremier M5S e le angherie di chi ha avvelenato i terreni provocando fenomeni come la terra dei fuochi o l’impennata delle malattie scatenate dall’inquinamento. Un gioco banale, che prova a mettere sullo stesso crinale faccende minuscole e scandali veri, magari giocando sul fatto che sul piano delle responsabilità è pari e patta tra i papà di Renzi e Boschi e quello di Di Maio.

Nella grande confusione mediatica passa così il messaggio che la famiglia di Di Battista non paga i dipendenti alla stessa stregua di quegli imprenditori che girano in fuoriserie e nascondono i soldi all’estero, livellando fatti e atteggiamenti che nulla hanno a che vedere tra loro. Una caccia alle streghe che vede persino autorevolissimi giornali in prima fila, impegnatissimi a stringere le meningi per sfornare titoli come “Indagato Di Maio, svolta nelle indagini” rilanciato sulla rete web a sprezzo del ridicolo. D’altra parte il giornalismo è ormai sempre più una prosecuzione della contesa politica ma con altri mezzi. Un compito anche legittimo se però è dichiarato e alla luce del sole. Cosa che invece spesso non accade, e nella grande piazza di Internet fa il gioco di chi ha tutto da guadagnare nel confondere mele e pere, buoni e cattivi.