L'Editoriale

Dopo la carriola spunta il reato di monopattino

Accuse a Casaleggio per la scelta del mezzo di trasporto

Dopo il famigerato reato di carriola contestato al padre di Luigi Di Maio adesso c’è chi invoca una pena per il monopattino. In questa Italia devastata da decenni di giganteschi abusi di potere, per non parlare di quelli edilizi e finanziari, nei giorni scorsi il settimanale Oggi ha fotografato Davide Casaleggio in giro per Milano su un monopattino elettrico. Un mezzo ecologico, ma che ha subito suggerito a qualcuno di invocare una condanna per direttissima al Casaleggio medesimo, colpevole di aver infranto una mezza dozzina di articoli del Codice della Strada. L’incauto utilizzatore finale del monopattino rischierebbe 1.162 euro di multa più sequestro con confisca del mezzo.

Ovviamente siamo andati a leggerci gli articoli in questione, dove si fa riferimento ai ciclomotori senza targa, cioè cosa ben diversa dal mezzo di trasporto scelto dal figlio del guru che ha contribuito a far nascere il Movimento Cinque Stelle. Ma c’è poco da formalizzarsi per chi vaneggia una nuova deriva manettara, questa volta a parti invertite, con i paladini dell’onestà M5S – e mentre ci siamo anche la Lega di Salvini – sullo stesso piano degli altri partiti della Prima e Seconda Repubblica.

D’altra parte, in appena sei mesi di Governo Luigi Di Maio è stato coinvolto nella vicenda di alcuni dipendenti del padre assunti per un periodo senza contratto, poi è arrivata l’ipotesi di scempio edilizio per la carriola e quattro calcinacci trovati fuori posto in un piccolo terreno di campagna.

Passano pochi giorni e la gogna passa ad Alessandro Di Battista, socio con il padre di una piccola impresa di famiglia che fatica a pagare gli stipendi ai tre dipendenti, uno dei quali è la sorella. Sotto tiro è finito pure Salvini, per il quale è stata avanzata niente di meno che l’accusa di sequestro di persona dopo il braccio di ferro con gli altri Paesi europei che giravano la testa dall’altro lato di fronte alla necessità di far sbarcare da qualche parte i naufraghi salvati dalla nave Diciotti.

Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio – magistrato che ha collaborato con Falcone e Borsellino, indagando poi da Dell’Utri agli assassini di don Pino Puglisi – questa volta ha messo nel suo radar il vicepremier e ministro dell’Interno, immaginando una violazione del codice penale che non poteva reggere in alcun modo ed è finita archiviata.

Trascorre qualche settimana e dal sequestro si passa addirittura al favoreggiamento nei confronti della mafia nigeriana. A creare il caso era stato il procuratore – ancora per poche ore prima di andare in pensione – Armando Spataro, secondo cui un tweet pubblicato all’alba dal capo del Viminale per complimentarsi con le forze di polizia per un’operazione contro le gang avrebbe fatto scappare i ricercati. Una tesi ampiamente contestabile, sia per la genericità del Tweet che per la facile osservazione di quanto sia improbabile che i mafiosi nigeriani stiano a guardare il profilo social del ministro già dall’alba. Ciò nonostante Spataro ha conquistato le prime pagine dei giornali, esattamente come Di Maio e Di Battista per le vicende dei padri e adesso Casaleggio.

Sia chiaro, sul padre di Matteo Renzi alcuni giornali ci hanno campato per anni, per quanto anche qui il ruolo del genitore dell’ex premier è stato irrilevante, almeno a giudizio del giudice che ne ha archiviato la posizione su una bancarotta a Genova e poi dei pm che hanno fatto lo stesso nella ben più grave vicenda Consip. Questo inseguire la soluzione giudiziaria per veder soccombere una parte politica è però inquietante, e denota la rinuncia a confrontarsi sul terreno della politica per incamminarsi sulla finta scorciatoia dei tribunali.

A costo di arrivare a parlare di violazione del Codice della strada per l’utilizzo invece sano e originale di un monopattino, strumento desueto di locomozione nonostante ci abbia fatto tanto divertire quando eravamo bambini, e in città piccole sia l’ideale per non prendere l’automobile. Ovviamente a patto di non cadere nelle buche mentali di tanti odiatori di professione.