L'Editoriale

Se l’onestà diventa un autogol

Molti elettori (non solo Cinque Stelle) neppure sanno chi era Pietro Nenni, lo storico leader socialista che certificò in modo lapidario come facendo a gara per chi è più puro, è facile che salti fuori qualcuno ancora più puro che ti epura. Un rischio che il Movimento fondato da Grillo corre deliberatamente sin dalla nascita, affidando alla parola d’ordine “Onestà” il primato sull’intera azione politica degli eletti. Una scelta di grande impatto comunicativo, sebbene l’onestà sia una precondizione alla quale dovrebbero attenersi tutti coloro che assumono cariche elettive. Ma questi sono anni (o vogliamo dire decenni?) di crisi morale e di corruzione diffusa, in cui proprio l’onestà è tutt’altro che scontata, e quindi l’etica come marchio di fabbrica funziona alla grandissima. Se però anche in queste case di vetro salta fuori qualche mela marcia allora non vale la più la storia che così fan tutti, ma viene a cadere l’intera impalcatura su cui si è costruita la propria credibilità. Di Maio ha provato a svicolare affermando che certi furbi il Movimento li caccia, mentre altri partiti li fanno ministri. Come dire: se eravamo puri ma con qualche vermetto nascosto dentro, adesso saremo purissimi. Ora è chiaro che ai grillini non passa per la testa di imparare qualcosa da un socialista, ma la lezione di Nenni potrebbe aiutare l’M5S a crescere. Mandano a casa i disonesti, certo, ma anche accettando l’idea di regole interne che non costringano esse stesse a tradire l’onestà, compreso l’uso dei rimborsi dei parlamentari.