L'Editoriale

Un’infinita ipocrisia sulle banche

Maria Elena Boschi non si può dimettere. Non può farlo perché toglierebbe il giochino preferito ai suoi nemici, ma soprattutto perché arrendersi significherebbe ammettere di aver favorito la sua famiglia nel crollo di Banca Etruria, mentre da quanto emerso finora non c’è la pistola fumante e nemmeno una pallottola che provi tale accusa.

Non ha mai detto di aver ricevuto pressioni l’allora amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni e ieri ha confermato la stessa cosa il presidente della Consob Giuseppe Vegas. Dunque per quello che sappiamo nulla contraddice le sue dichiarazioni al Parlamento. Se poi vogliamo indignarci anche più di Travaglio e Belpietro perché un ministro ed esponente di rilievo del principale partito di Governo abbia esposto il rischio di una banca in difficoltà (il ruolo del padre era arcinoto), domandiamoci di cosa si debbano occupare i ministri e non lamentiamoci quando scopriamo che non si occupano di niente. Questa ipocrisia per cui la politica non debba sporcarsi le mani, perché solo esporre un fatto sarebbe un’ingerenza o addirittura una pressione illecita è il motivo per cui abbiamo tanti giornalisti ottimi e un Paese pessimo.

La Boschi è imperdonabile per non aver lasciato il Governo dopo la bocciatura del referendum costituzionale, come promesso, e di questo risponderà agli elettori. Ma a meno di voler essere faziosi, sulle banche ad oggi non è più colpevole di tanti politici, di tutti i partiti, che non hanno fatto niente o fatto con prove gli interessi dei loro amici.