Facile dire innovazione al Sud, spariti i milioni per il bando sulle startup. E le società sono in affanno

Facile dire “sosteniamo le startup”. Ancora più semplice se le società hanno sede nel Mezzogiorno d’Italia. Ma se non arrivano i fondi...

Facile dire “sosteniamo le startup”. Ancora più semplice se le società hanno sede nel Sud Italia. Ed è lodevole che il Governo stanzi dei fondi specifici, in totale 30 milioni di euro, per consentire lo sviluppo di progetti per l’innovazione. Il problema è che, alla fine, una parte di quei soldi non sono arrivati a destinazione, nonostante la gara risalga al 2013. È il caso del bando chiamato proprio “Startup” dal ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (Miur), all’epoca guidato da Francesco Profumo. Dopo si sono succeduti altre tre ministri, Maria Chiara Carrozza, Stefania Giannini e Valeria Fedeli, senza che la situazione abbia trovato uno sbocco. Ora le imprese che hanno partecipato e vinto la gara si ritrovano a fare i conti con un autogol: a causa del mancato pagamento del Miur sono indebitate e indebolite finanziariamente. Quindi in difficoltà a sostenere le spese e a saldare i debiti contratti. E c’è di più: l’accordo stipulato tra il ministero e le banche, per ottenere i finanziamenti, è scaduto il 27 gennaio. E non si hanno notizie di proroghe. Il caso è stato portato in Parlamento dalla senatrice del M5S, Michela Montevecchi, che ha depositato un’interrogazione a Palazzo Madama.

Gli obiettivi – L’iniziativa era rivolta alle micro, piccole e medie imprese, attive da meno di 6 anni, con base operativa in una di queste 4 regioni: Calabria, Campania, Puglia o Sicilia. L’invito era quello di presentare progetti di ricerca e innovazione – anche in collaborazione con università, centri di ricerca, pubblica amministrazione e grandi imprese – per individuare soluzioni innovative per lo sviluppo sociale ed economico dei territori. Il ministero aveva garantito la copertura dell’80% delle spese, attraverso prestiti affidati alla banche. Ma i 38 progetti vincitori, giudicati ad alto tasso di innovazione, non sono stati sostenuti come promesso. I ritardi, infatti, si sono accumulati nel tempo, a cominciare dall’elaborazione delle linee guida per la rendicontazione delle spese e quindi la possibilità di avere i rimborsi. Come se non bastasse, ci sono stati slittamenti nella firma “dell’atto d’obbligo”, un passaggio fondamentale per ricevere i fondi dalle banche, sotto l’ala protettrice del Miur. Ovviamente La Notizia ha chiesto conto al ministero, che ha riconosciuto “una serie di intoppi procedurali”, ma ha garantito che si sta “cercando una norma per risolvere il caso che rischiava di configurarsi anche come un aiuto di Stato”, anche tramite “un tavolo con gli altri ministeri sul tema dell’innovazione”.  Tuttavia, come sottolineato dalla Montevecchi nell’interrogazione, “a questo si aggiunge la richiesta di una fideiussione bancaria, che ha comportato per i vincitori la necessità di impegnare le finanze personali, di richiedere un mutuo o, per gli under 30 la richiesta ai genitori di fare da garante”. Insomma, dalla realizzazione di un sogno all’inizio di un incubo.