Femminicidio, dal Governo più promesse che fatti. I centri antiviolenza rischiano di chiudere. Ancora da distribuire i fondi del 2015

Oggi donne in piazza per dire “no” al femminicidio. Sarebbe ora che anche il Governo lo facesse. Così i centri antiviolenza ora rischiano di chiudere

Oggi migliaia e migliaia di donne si ritroveranno in piazza per dire “no” al femminicidio. Sarebbe ora che, dopo anni e anni di annunci in pompa magna, anche il Governo si decidesse a urlare “no” al femminicidio. Non solo a parole, ma anche con fatti (e atti) concreti. Perché mentre la ministra Maria Elena Boschi (da maggio a lei è stata affidata la delega alle Pari Opportunità) parla della vicinanza di questo Governo al genere femminile, i fatti dicono che i centri antiviolenza, alla canna del gas, ora rischiano di chiudere. Dal Nord al Sud.

Qui si chiude – “I finanziamenti sono scarsissimi. E quando arrivano, arrivano a singhiozzo – è il commento sconsolato di Luisanna Porcu, del centro antiviolenza Onda Rosa di Nuoro, nonchè consigliera nazionale dell’Associazione D.i.Re. (Donne In Rete) – Così è impossibile fare un minimo di programmazione”. D’altronde il quadro sulle reali azioni messe in campo per fronteggiare le violenze di genere, emerge in maniera netta da una relazione della Corte dei Conti di un mese fa (“ma la situazione non è cambiata di una virgola”, ci dicono dalla D.i.Re). I magistrati contabili sottolineano in maniera chiara che emerge una “mancata ripartizione delle risorse stanziate per gli anni 2015 e 2016”. Insomma, con i fondi per i centri antiviolenza siamo fermi al 2014. Quando va bene. Perché, ci racconta ancora Luisanna Porcu, “le Regioni sono totalmente bloccate”.

L’esempio arriva dalla Sardegna: “la maggior parte dei centri non ha nemmeno i fondi relativi al 2014”. E rispetto agli stanziamenti del 2016, la situazione è a dir poco tragica: “non esiste nemmeno la delibera di assegnazione dei fondi”, ci dice ancora la Porcu. Cosa vuol dire in soldoni? Semplice, che non solo non è possibile fare una programmazione, ma che nemmeno si sa se quanto anticipato dai centri di tasca propria, sarà loro interamente rimborsato. “In questo modo è letteralmente impossibile pensare a una borsa lavoro o a un corso per le donne violentate”. Insomma, un disastro totale. Condito da un’assoluta mancanza di trasparenza dato che la relazione sull’utilizzo dei fondi, che per legge il Dipartimento per le Pari Opportunità dovrebbe consegnare entro il 30 giugno  e che avrebbe permesso di capire le ragioni di tali ritardi, non c’è.

La furbata – Ma non è tutto. Perché al danno si aggiunge anche la beffa. Per capire di cosa stiamo parlando, partiamo da due date simbolo per le donne: l’otto marzo e oggi, 25 novembre, giornata nazionale contro la violenza di genere. Sarà semplicemente un caso, ma per anni sono stati bloccati 12 milioni destinati al finanziamento “di azioni volte a rafforzare le misure poste in essere a sostegno delle vittime di violenza di genere e i loro figli ed i servizi a loro dedicati”. Dopo anni di stallo, il bando di assegnazione di questi 12 milioni è stato indetto dalla Boschi l’otto marzo. E quando è arrivata l’assegnazione? Il 21 novembre. Quattro giorni prima della manifestazione di oggi. “E non voglio pensare alla scadenza del quattro dicembre…”, ci dice ancora Luisanna. Ma la ciliegina sulla torta deve ancora arrivare. Già, perché, come denunciano le associazioni, “la maggior parte dei fondi non sono assolutamente finiti ai centri antiviolenza, ma sono andati a Comuni o fondazioni. Se non si finanziano direttamente i centri antiviolenza, rimane un forte squilibrio”. E così ecco che, per esempio, a prendere i fondi, nella lunga lista spuntano una marea generica di Comuni, consorzi e, addirittura, arcidiocesi, come quella di Reggio Calabria.

Tw: @CarmineGazzanni