Fondi alle grandi opere e pendolari abbandonati. Rete Ferroviaria Italiana snobba Toninelli. Ecco il contratto 2017-2021: alle reti regionali solo 1 miliardo su 13

Il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, voleva una rimodulazione degli stanziamenti. Ma per l’Alta velocità resta un fondo di oltre 5 miliardi

Era fermo da circa sei mesi. Uno stallo imputabile al fatto che per il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli prima ancora che potenziare le grandi arterie ferroviarie, conta – com’è da programma di Governo – intervenire su quelle linee regionali su cui ogni giorno viaggiano migliaia e migliaia di pendolari, linee abbandonate, vetuste, spesso pericolose. Ora, finalmente, è arrivato il nuovo Contratto di programma stipulato tra Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) e ministero. Parliamo di un documento fondamentale dato che nelle 961 pagine di questo documento sono elencate le regole e il piano di investimenti tra lo Stato e il gestore della rete ferroviaria nazionale per gli anni 2017-2021. Tuttavia la revisione che dal ministero speravano si riuscisse ad attuare non è arrivata: il piano è rimasto grossomodo identico a quello predisposto ai tempi di Graziano Delrio: la maggior parte dei fondi destinati alle grandi opere e le briciole che avanzano per le tratte regionali.

Il documento – Secondo il contratto di programma appena consegnato in Parlamento per il rituale parere delle commissioni preposte, parliamo di finanziamenti per 13,9 miliardi di euro complessivi, tagliati poi per varie esigenze di circa 666 milioni, per cui si è scesi a quota 13,2. Come verranno usati tali finanziamenti? Ben 5,56 miliardi finanzieranno le “grandi opere”. Nel dettaglio 2,66 miliardi andranno per i cosiddetti “lotti costruttivi” di tratte ad alta velocità. Parliamo dei maxi progetti di cui si parla ormai da tempo: Brennero, Terzo Valico e i collegamenti tra Brescia,Verona e Padova. A tutto questo si aggiungono altri 2,9 miliardi per l’Alta velocità al Sud: Messina-Catania-Palermo e Napoli-Bari. Senza dienticare, ancora, i 2,3 miliardi per ammodernamenti e “upgrading” delle direttrici di interesse nazionale a lunga percorrenza. In questo caso stiamo parlando, ad esempio, di ammodernamenti tecnologici per i nodi ferroviari delle città metropolitane, da Torino a Milano passando per Bologna e Roma. Tutto legittimo, ci mancherebbe. Quel che stupisce, però, è che i tanto attesi lauti finanziamenti per il traporto regionale, alla fine, non sono arrivati. Nel dettaglio per il capitolo “valorizzazione reti regionali” sono stati stanziati nel complesso 1,3 miliardi di euro. Decisamente poco se raffrontato all’Alta velocità. Tali fondi permetteranno comunque di avviare e portare avanti progetti che si aspettavano da tempo, come il “raddoppio della Palermo-Messina” o, ancora, la “elettrificazione Empoli-Siena”. Fondamentale il potenziamento dei collegamenti tra Perugia, Foligno e Terontola. Senza dimenticare i collegamenti, in Molise, tra Venafro e Termoli, scollegati da tempo immemore sulla linea ferroviaria. Progetti importanti, dunque, su cui si sarebbe potuto insistere maggiormente. Quello delle reti regionali, peraltro, non è l’unico capitolo che potrebbe vivere un periodo di magra. Per quanto riguarda, ancora, la sicurezza, gli stanziamenti sono inferiori ai 2 miliardi. Solo 885 milioni, invece, per il “potenziamento e sviluppo infrastrutturale aree metropolitane”.

Tempi stretti – La linea seguita dalla società guidata da Michele Mario Elia, dunque, sembra proprio andare in una direzione contraria rispetto a quella tracciata dal ministro Toninelli, che avrebbe voluto apportare modifiche al contratto di Rfi, improntate sulla linea del “meno grandi opere e più risorse per le linee dei pendolari e la sicurezza”. Questo però, dicono i ben informati, avrebbe avuto anche il rischio di far ripartire da zero il certamente non agevole iter approvativo, avviato nel giugno 2017, mentre l’esigenza di spingere sulle infrastrutture, specie dopo i fatti di Genova, ha indotto Toninelli a dare l’ok all’invio del testo alle Camere. Non è detta l’ultima parola, tuttavia. Il Parlamento, infatti, ha 30 giorni per approvare in via definitiva il testo. Ed è plausibile, ragionano Cinque stelle e Lega, che se si avanzassero spunti di modifica si darebbe un importante assist al Governo per mettere mano sul programma. La partita, dunque, non è ancora conclusa.