Basta polemiche sui musei. Parla il ministro Franceschini: più valore sociale alle imprese che investono in cultura. L’Art bonus non basta

Basta polemiche sui musei. Parla il ministro Franceschini: più valore sociale alle imprese che investono in cultura

di Giulia Aloisio Rafaiani

Prova a tirare le somme della sua Riforma con la precisione di un economista e con l’onestà di chi, con il mondo della pubblica amministrazione, ha a che fare da parecchio tempo. Dario Franceschini, alla guida del Ministreo dei Beni e delle Attività culturali, ammette che “molte cose non vanno bene nella pubblica amministrazione, ma si sta impiegando ogni sforzo per cambiare quanto non funziona e valorizzare le straordinarie risorse del nostro Paese”. Il pubblico dunque può tenere il passo del privato e insieme fare di più.

Con la crisi però i primi fondi che vengono tagliati sono quelli per la cultura. Come risponde a queste critiche?
“Dopo gli anni dei tagli sono iniziate a crescere le risorse per la cultura, nuovi fondi per la tutela del patrimonio e i grandi progetti culturali: 150 milioni di euro nel 2016, 170 milioni nel 2017, 165 milioni dal 2018. Il bilancio del Mibact aumenta dell’8% nel 2016 e del 10% nel 2017. La legge di stabilità contiene interventi straordinari e di grande portata per la cultura e il turismo. Non si tratta di una mia personale vittoria: non c’è dubbio che il Governo Renzi abbia definitivamente invertito la tendenza e torni, dopo tanti anni, a credere nella cultura come leva dello sviluppo del Paese investendo su musei, biblioteche, archivi, cinema, spettacolo e valorizzando il ruolo che ogni singolo cittadino può dare alla tutela del patrimonio culturale”.

Quali sono le leve principali sulle quali vuole investire nel corso del suo mandato?
Parlerei di quali sono i tre tabù da superare: il rapporto tra cultura e turismo; la relazione fra la tutela e la valorizzazione; la collaborazione tra pubblico e privato.

Già, il leit motiv di ogni conversazione sull’Italia è sempre lo stesso: non c’è collegamento fra turismo e cultura, in Italia si tutela e non si valorizza.
Ogni volta che mi occupo di un restauro o di un nuovo investimento mi chiedo: ma in questo momento sono ministro della cultura o del turismo? Non esiste una risposta: il turista oggi ha esigenze molteplici: vuole visitare un luogo in grado di offrire stimoli culturali, emozioni, sapori, esperienze… E il compito del Pubblico è fare la propria parte per assicurare tutto questo. L’Italia deve fare sistema e le nostre scelte vanno in questa direzione: Il Programma Operativo Nazionale ha come obiettivo la valorizzazione del territorio attraverso interventi di conservazione del patrimonio culturale, di potenziamento del sistema dei servizi turistici e di sostegno alla filiera imprenditoriale collegata al settore. Così come il nostro sostegno alle industrie culturali e creative è essenziali: non dimentichiamo che le imprese delle filiere culturali e creative producono 78,6 miliardi di valore aggiunto e attivano altri settori dell’economia arrivando a muovere complessivamente il 15,6% del valore aggiunto nazionale, equivalente a 227 miliardi di euro. La nuova Enit, inoltre, avrà a disposizione 10 milioni aggiuntivi annui per la promozione internazionale del Paese.

Dunque, non più solo tutela…
In questi giorni assisto a un dibattito, per me quasi anacronistico, sulla governance dei musei, sulla annosa vicenda della tutela come nemica della valorizzazione. Si devono fare entrambe le cose, non sono una contro l’altra. È necessario attivare ogni strumento possibile per premettere al maggior numero di persone possibile di visitare il nostro patrimonio museale. La nostra riforma è diventata oggetto di conversazione soprattutto per il bando per la nomina dei 20 direttori dei musei. Ma quella è soltanto la punta di un iceberg: sotto c’è un fondamentale percorso verso la creazione delle condizioni per la valorizzazione del patrimonio. Fino a prima della riforma, i musei non avevano una propria personalità: erano uffici delle Sovrintendenze, non trattenevano il valore dei biglietti venduti e non avevano alcuna autonomia. Oggi, con un ritardo di 20 anni, i musei hanno il loro consiglio di amministrazione, un comitato scientifico e un collegio dii revisori dei conti. Si arriva alla normalità. E ora, per assicurare la tutela e la valorizzazione del paesaggio e del nostro patrimonio storico e artistico – e in deroga alle norme vigenti – abbiamo autorizzato un concorso straordinario per l’assunzione a tempo indeterminato di 500 funzionari dei beni culturali selezionati tra antropologi, archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari, esperti di promozione e comunicazione, restauratori e storici dell’arte. Una misura indispensabile per introdurre professionalità fondamentali per garantire l’attuazione dell’articolo 9 della Costituzione: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura… e tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”.

C’è chi dice che il divario culturale fra pubblico e privato è tale da rendere impossibile un dialogo ed un’effettiva collaborazione fra questi due mondi.
“Si chiama patrimonio dell’umanità ed è, pertanto, di tutti: del pubblico e del privato. Non dico che sia facile far dialogare questi due mondo: Diego della Valle ha restaurato il Colosseo senza chiedere nulla in cambio e le polemiche e gli attacchi sono stati durissimi. Però è stato fatto. L’Art Bonus è stato reso permanete, viste le numerose richieste e il grande successo riscosso: in tutto il Paese resta in vigore l’agevolazione fiscale del 65% per le erogazioni liberali a sostegno della cultura. Ora dobbiamo fare di più: mettere intorno a un tavolo le grandi imprese e ragionare con loro: sono fermamente convinto che una parte del valore sociale delle imprese sia nell’impegno che dedicano al nostro patrimonio. Gli anglosassoni parlano di Give Back. È arrivato il moneto di restituire.
In collaborazione
con BritalyPost