Genova tradita pure dalla legge. Così i colpevoli del disastro la faranno franca: serve una riforma del codice penale

La vicenda di Genova evoca tanti di quegli spunti che è difficile, anzi impossibile, farne una stima. Ovviamente chiunque parli o scriva di questa tragedia non può non tener conto, sempre e comunque,della assurdità del fatto e delle morti da piangere. Chi si occupa di diritto e di leggi deve con rapidità valutare responsabilità e colpevoli, fuori da ogni impulso rabioso, ancorché giustificato. E qui viene a chi scrive un certo fastidio (il termine è eufemistico) quando, consultando il codice penale, scopre che le pene previste per i reati che la Procura di Genova potrebbe ipotizzare a carico dei colpevoli del disastro genovese sono quasi inconsistenti. Gli stessi magistrati inquirenti lo hanno rilevato con più autorevole stupore. Il disastro colposo, l’omicidio colposo plurimo e l’attentato colposo alla sicurezza dei trasporti hanno ciascuno pene massime non superori ai cinque anni di reclusione . Più gravi sarebbero le sanzioni edittali nel caso di “omicidio statale colposo”, ipotesi proposta dalla Procura.

Chi guida un veicolo. Questo avrebbe una pena massima prevista di sette anni, ma francamente non vedo come si possa concretamente applicare al caso che stiamo esaminando. Tutto ciò – anche se si prende spunto purtoppo da un evento ben più drammatico – evoca una sinistra prospettiva, che il Governo ed il legislatore dovrebbero immediatamente cogliere per rendere quanto meno più “riparatoria” una giustizia che nel nostro Paese è ancora suscettibile di numerosi miglioramenti.Una riforma del codice penale, più volte e da vari governi annunciata, che introduca, anzi riveda, il principio basilare della deterrenza della sanzione, nonché della sua efficace e rapida applicazione. È vero che il riportare in vita le vittime innocenti di questo e di altri reati non è possibile. Ma non si accampi questa scusa, come spesso accade, per non invocare (da parte di molti perbenisti del diritto) la forza dello Stato contro chi non lavora, o lavora male, oppure offende quotidianamente i nostri codici di norme e, soprattutto, di condotta. Spero altresì che trovino applicazione le norme, sino ad oggi non nominate nel caso di specie, della responsabilità delle società per fatti compiuti da dipendenti o dirigenti (il decreto legislativo 231 del 2001), che porterebbero automaticamente a quella decadenza delle concessioni che si sta invocando, anche se bisognerebbe attendere il procedimento giudiziario.

Devo inoltre ricordare che il provvedimento in questione prevede come sanzioni accessorie, tra le altre, la interdizione da procedure pubbliche e private per l’affidamento di lavori, fino ad arrivare alla sospensione della attività aziendale per un certo numero di anni. Si proceda però con urgenza, ribadisco, ad una riforma organica del diritto penale, soprattutto considerando che in casi come questi la “colpa” non può e non deve essere considerata una attenuante, soprattutto quando si parla di “attentato alla sicurezza”, rubrica che di per se non si attaglia a concetti di esonero dalle massime pene contemplate in un ordinamento democratico.