Giallo della ballerina, spariscono le carte

di Nicoletta Appignani

Un altro mistero si aggiunge alla lunga lista di dubbi sul caso di Miranda Ferrante, la giovane ballerina morta nel 1960 il cui corpo è stato riesumato pochi giorni fa nel cimitero di Colleferro.
Malgrado fosse noto come un caso di suicidio, infatti, qualcuno all’epoca comunque indagò: il registro della cancelleria è rubricato come “atti relativi a”. Cioè un decesso sul quale non sono state formulate ipotesi di reato.
Cosa sia avvenuto dopo, è difficile a dirsi, visto che sono passati oltre 50 anni da quei fatti e i documenti potrebbero essere andati smarriti.
I familiari della ragazza ed il figlio Maurizio, hanno fatto richiesta di accedere agli atti del fascicolo ma, da cinque mesi a questa parte, non hanno ricevuto risposta.

La storia
È il 12 luglio 1960. Una ragazza di 19 anni muore in un hotel. Si tratta di una ballerina del Kursaal, noto locale di Montecatini frequentato dall’alta borghesia romana. Lei si chiama Miranda Ferrante, madre del piccolo Maurizio, un bimbo di appena 2 anni che è stato affidato ad un istituto di suore del paese natale, Colleferro appunto. Il caso viene frettolosamente rubricato come un suicidio.
Passano molti anni, durante i quali Maurizio, dopo essere stato cresciuto dalla zia, ignora la verità: soltanto a 26 anni, infatti, scopre chi sia sua madre. Il certificato di nascita rivela il rapporto di parentela, anche se tace completamente riguardo al padre. Un misterioso personaggio che forse ha pagato la retta dell’istituto religioso dove il bimbo ha trascorso la sua infanzia.

Le testimonianza
È il 2010. Maurizio, che adesso ha poco più di 50 anni, sta cercando di scoprire la verità sulla morte della madre.
Le contraddizioni nelle testimonianze di chi c’era, in quel lontano 1960, lo stanno convincendo che qualcosa nel racconto non quadra.
Alcune persone infatti ricordano che la giovane morì in albergo, altre invece che morì in ospedale. Così Maurizio decide di presentare un esposto: “Ho spiegato le varie indagini che avevo svolto – racconta l’uomo – e alla luce di queste mettevo in dubbio l’ipotesi ufficiale di suicidio. Addirittura il certificato dell’ospedale non era in regola: parlava di abuso di antistaminici per scopo suicida. Eppure non risultavano analisi del sangue. Mancava addirittura la firma del responsabile”.

Le nuove indagini
Così la Procura di Pistoia apre un fascicolo e viene sentito Licio Rossini, un medico che in quella lontana notte di luglio era di turno nel pronto soccorso dell’ospedale di Pescia, lo stesso dove fu trasportata la giovane.
“Non ricordo quasi nulla – racconta l’uomo, che oggi ha quasi 90 anni ma che tuttora vive a Montecatini – come ho spiegato anche ai magistrati ormai è passato troppo tempo. Ho provato a fare mente locale ma è stato praticamente impossibile”.

Il mistero del fascicolo
Il nuovo procedimento viene quindi archiviato.
Maurizio però, comunque deciso a voler far luce sul mistero che avvolge la morte della madre, presenta la richiesta per l’acquisizione del fascicolo dell’epoca, quello del 1960. È il settembre 2012. Passa un mese ma non arriva risposta. Così, aiutato da Bernardo Ferro, presidente della Italdetectives, l’investigatore privato che segue le indagini, l’uomo si reca di nuovo alla Procura di Pistoia, dove scopre il numero del vecchio procedimento. In cancelleria, nel frattempo, dicono di inoltrare l’istanza presso un altro ufficio competente.
La pratica viene svolta nuovamente e il tribunale assicura che a breve daranno una risposta.

I nuovi dubbi
Tuttavia alle richieste presentate dai familiari, cinque in tutto, non è ancora stato dato seguito. Anche se nel frattempo sono trascorsi 7 mesi. Ciò che in compenso è emerso dalle indagini è che malgrado la morte di Miranda Ferrante sia stata sempre considerata un suicidio, il fascicolo in realtà era stato aperto come procedimento contro ignoti. Non solo. A questo si aggiunge la scoperta fatta durante la recentissima riesumazione del corpo di Miranda, quando si è appreso che il cranio della diciannovenne presentava i segni di un’autopsia.
Questo malgrado il certificato dell’epoca riportasse come causa della morte un abuso di antistaminici.
Ora il figlio di quella giovane donna attende l’esame del dna che dimostri l’identità della donna in quella tomba di Colleferro.
Un giallo capace di attraversare cinquant’anni di storia, quello di Miranda Ferrante. Senza esserne minimamente scalfito.