Gli intrusi della Regione Lazio

di Paolo Cardone

Il presidente Nicola Zingaretti si è insediato ufficialmente il 12 Marzo 2013.
Ma alcuni dei suoi più fidati collaboratori, non avendo ancora sottoscritto un contratto con l’Amministrazione, non avrebbero i requisiti per lavorare negli uffici di Via Cristoforo Colombo. Senza un regolare affidamento d’incarico, infatti, nessuno può operare all’interno delle strutture pubbliche. Nessun esterno può usare computer o telefoni regionali.
E’ impensabile, però, che un presidente possa farcela da solo, nell’esercizio delle sue infinite funzioni, senza un supporto politico, tecnico e di conforto. Così ci si arrangia e pur di non abbandonare il governatore al suo destino, si studiano contromosse per entrare in Regione, comunque. Secondo molti dipendenti regionali, che lo hanno visto con i propri occhi, da un paio di settimane per le persone di fiducia del presidente Zingaretti, è possibile superare i tornelli della Giunta grazie a un’autorizzazione da visitatore: proprio quei cartellini che andrebbero appuntati sul petto. Operazione che i collaboratori, sprovvisti di contratto, ripetono quotidianamente lasciando il proprio documento agli sportelli dell’accoglienza. Chi e che cosa debbano visitare, così assiduamente rimane un mistero. Infatti questo ospite abitudinario non ha l’obbligo di comunicare in quale ufficio si recherà in visita. Timbra il suo passi senza alcuna restrizione.
Secondo altri testimoni, alcuni di questi “visitatori” avrebbero già preso possesso delle stanze di chi li ha preceduti i quali, invece, hanno ancora i titoli per occupare le proprie scrivanie: dirigenti, collaboratori e dipendenti regionali, voluti dall’ex presidente Renata Polverini, i cui contratti sono ancora in essere e che nessuno ha ancora revocato, in quanto l’Amministrazione dispone di 90 giorni di tempo per confermarli o meno.
La situazione è paradossale: chi ha i titoli per stare in Regione non ha più posto perché è stato sfrattato dai nuovi arrivati e chi non è autorizzato entra, ordina e dispone secondo le nuove indicazioni della Giunta.
Numerosi sono i dirigenti e i collaboratori “polveriniani” raminghi in cerca di un angolo dove stare e senza occupazione. Uno spreco di risorse umane e di soldi pubblici.
Persone scelte dalla precedente Giunta, che però preferiscono aspettare la rescissione del contratto piuttosto che dimettersi.
D’altronde non spetterebbe loro far cessare il contratto con la vecchia Giunta, ma al capo del personale che con una lettera ufficiale dovrebbe interrompere il loro rapporto di lavoro. In periodi di crisi, però, uno stipendio da dirigente da 135mila euro l’anno fa sempre comodo.
Molti di questi irriducibili sono in ferie, mentre solo una minoranza ha avuto la delicatezza di fare un passaggio di consegne.
Azioni normali di avvicendamento e di buona educazione che fanno parte della democrazia e dell’alternanza.
Renata Polverini disertò l’insediamento di Zingaretti, diversamente da quanto fece Storace, che da ministro della Salute passò il testimone al presidente Piero Marrazzo. Fece lo stesso il vicepresidente, Esterino Montino, quando nel 2010, partecipò al passaggio di consegne con la nuova presidentessa.
Certo, non è facile perdere e accettare la sconfitta dopo una dura campagna elettorale, ma è altrettanto difficile vincere concedendo l’onore delle armi.
In questo caso, come qualche volta capita quando un’amministrazione sostituisce un’altra, è mancato soprattutto un po’ di fair play.
Da parte di chi ha perso, perché non si è fatto da parte così come da spoil system e da parte di chi ha vinto perché avrebbe dovuto aspettare, quanto meno, di essere in possesso dei requisiti minimi per poter operare con strumenti pubblici.
Quello che, invece, non difetta mai è la lunghezza della burocrazia che rallenta ogni cambiamento di sorta.