I bulli di internet non sono finti. Sui social c’è il Paese reale

di Francesco Nardi

La libertà non è star sopra un albero, cantava Giorgio Gaber, e neanche nascondersi dietro lo schermo di un computer.  Si può riassumere così la viscerale, per quanto compostissima, reazione  di  Laura Boldrini ai messaggi di intimidazione che sta ricevendo. Un fenomeno che per la sua ampiezza denuncia la sua cifra affatto episodica e squisitamente culturale.
La vicenda che riguarda la presidente della Camera ha messo a nudo una serie di importanti problemi ai quali però va anteposta una solida premessa. Tutto quanto è avvenuto, ovvero i messaggi anonimi, violenti e sessisti non sono finti. Certo la rete e i moderni strumenti di socialità digitale ne favoriscono la diffusione, ma non esistono e non sono stati concepiti perché c’è internet. Ognuno di quei messaggi rivela l’esistenza di un differente tipo di vigliacco che per i più svariati motivi ha indirizzato verso la Boldrini tutta la sua inadeguatezza e inciviltà. Detto questo è più facile comprendere che tutti i relativi ambiti affiorati nel corso dell’aggressione alla speaker di Montecitorio non “galleggiano” in internet, ma che piuttosto  riguardano l’avvilente stato di arretratezza che caratterizza il nostro Paese sul piano della matura comprensione del valore dei diritti civili di ognuno.

Servono le regole?
Di conseguenza il punto non è “regolamentare la rete”, ma piuttosto sancire in modo inequivoco che la rete non è un luogo “virtuale”, nel quale si possa intendere lecito ciò che non lo è al di fuori di essa. Il problema delle regole, tuttavia, non si pone solo ora che un numero enorme di cittadini è stabilmente “connesso”. Ma si è posto a margine anche delle primordiali forme di aggregazione digitale. Erano diversi gli strumenti ma non le conseguenti esigenze. Ed episodi come quello che ha visto protagonista la presidente della Camera non facevano notizia perché era limitato il numero degli utenti o perché, ancora più facilmente, l’oggetto stesso dell’aggressione non era connesso e quindi raggiungibile attraverso quegli strumenti: i forum ad esempio, o più tardi i blog. All’epoca si parlava dunque della netiquette, ovvero del codice di comportamento cui ognuno avrebbe dovuto uniformarsi frequentando il cosiddetto cyberspazio. Regole, riassunte per lo più in collezioni di usi, che non sono però mai state cristallizate in formulazioni ufficiali. L’equivoco che ne è derivato è palese oggi in modo plateale: e riguarda chi evidentemente immagina che la propria condotta in rete non sia sottoposta agli stessi limiti e controlli che valgono negli altri contesti. Ed è così che machisti, maniaci e violenti trovano nello strumento una solida trincea dalla quale esprimere la propria mediocrità.

Il ritardo cronico del legislatore
Man mano che fenomeni come questo hanno manifestato la loro pericolosità sociale e che il numero di cittadini “interessati” cresceva si è proporzionalmente sviluppato l’interesse del legislatore. Peccato però che tutti i tentativi di intervento si siano trasformati velocemente, e in molti casi per fortuna, in grossolani fallimenti. La difficoltà è infatti tutta nel trovare un sistema  di  regolamentazione  della  rete  che non comporti direttamente o indirettamente una mutilazione della libertà di espressione che anche in essa, come altrove, dev’essere sempre garantita.

Si deve ammettere che il “cittadino diffuso” come si può definire la massa degli utenti della rete non si è mai occupato dell’individuazione e della denuncia dei violenti con la stessa caparbietà con la quale si è mobilitato per impedire interventi legislativi castranti sul piano delle libertà. Altrettanto è vero che l’interesse del legislatore si è manifestato, nei casi più eclatanti, interessato proprio a intervenire su questo fronte, tentando di adoperare una cesoia sommaria e che alcun beneficio avrebbe comportato. Ma il progresso corre veloce, e presto anche nella nostra penisola di periferia sarà chiaro che la rete è forse il più reale dei  luoghi,  per il semplice fatto che rappresenta il contesto nel quale più  intensamente i cittadini si confrontano. A capirlo molto bene sono stati i signori di Twitter. Al punto che si sono messi a caccia di un direttore news. L’obiettivo è evidentemente quello di estrarre dall’enorme mole dei tweet un flusso di notizie certificate, dando vita alla più rapida delle fonti attendibili che possa esistere. Quando ci riusciranno, e avverrà presto, spiegate loro che sono “virtuali”.

@coconardi