I giovani turchi del Pd ora abbandonano Bersani

di Francesco Nardi

In principio erano il sol dell’avvenire dalemiano, poi è arrivato Renzi e hanno preso il colore malinconico del tramonto.
Sono i cosiddetti giovani turchi, la nuova leva piddina griffata Bersani, portata in prima linea dal segretario del Pd proprio in occasione della sfida delle primarie del centrosinistra a testimonianza delle migliori intenzioni di rinnovamento interno.
Tenaci e combattivi, con il loro storico appeal da riformisti sexy, i giovani turchi hanno ripagato il compagno segretario con la più genuina delle militanze, affrontando l’altro giovane, ma non turco, sindaco di Firenze.
Stefano Fassina, già piddino potente ma potentissimo in pectore, sul fronte antirenziano è stato il turco più attivo. Oppositore genuino dell’outsider fiorentino in tempi in cui era facile e ad onore del vero protagonista di una tenace resistenza anche oggi che, al netto di qualche tentennamento, non è più la missione comoda di un tempo.

Le primarie della discordia
Più flessibile, ma nell’ambito di una giudiziosa prudenza, invece si sta mostrando il responsabile della cultura del Pd, Matteo Orfini. Le cronache costringono l’attenzione sullo stallo istituzionale e la corsa al Quirinale, e il cono d’ombra che si è allungato sulle primarie capitoline del Pd sta creando l’atmosfera giusta per prepararsi a una conta che fornirà la prima vera occasione per iniziare a regolare conti che ormai sono in sospeso da tempo. Conti con i quali molti proveranno a confrontarsi trovandosi già dal lato verso cui penderà la bilancia. Sul fronte pubblico, intendiamoci, è ancora tutto un cinguettare ispirato dalla prova di partecipazione che attende il partito (l’asticella del successo è fissata a centomila romani in fila ai gazebo), ma il silenzio dei big lascia un inedito spazio di manovra alla truppa piddina, che quindi gioca sottotraccia la partita della vita.
Sui quattro candidati democratici, (David Sassoli, Ignazio Marino, Paolo Gentiloni e Patrizia Prestipino) infatti, non pende nessun ordine di scuderia. Tace Bersani, in altro affaccendato (ma in che?), ma non parlano neanche Gasbarra e il neo presidente della regione Lazio Zingaretti.
Una partita aperta ma pulita e sincera quindi, questo è il racconto ufficiale, ma le voci che si rincorrono sul suk preelettorale si fanno invece sempre più insistenti, al punto che l’esito delle primarie potrebbe rivelarsi deflagrante.
La corsa per la successione a Giorgio Napolitano è l’epicentro di uno sciame sismico che sta infatti investendo ogni settore del partito, e le primarie di Roma ne amplicaficano il riverbero ad ogni dichiarazione che suoni appena fuori le righe.
Se ne è accorto anche Berlusconi che infatti ha prontamente trovato il modo di amplificarne gli effetti, proponendo il nome di Massimo D’Alema al Quirinale. L’onda giusta nella tempesta perfetta se si pensa che proprio i più nobili tra i giovani turchi si sono affrettati a spiegare che quello del leader Maximo non è il nome giusto per il Colle.

La favola dell’unità interna
Una reazione che ha tanto della strategia che nei prossimi giorni si farà più chiara, ma che restituisce anche molto del senso di indeterminatezza che mina platealmente la favola di un partito unito e che procede in concordia. Resta il paradosso di quei giovani che hanno avuto in D’Alema prima e Bersani poi il veicolo per un’affermazione che, appena gustata, richiede già un parricidio tanto eclatante per conservarla.
Queste giovani promesse si trovano, così, con l’acqua alle caviglie, malfermi nella palude di un partito che non sa nulla del suo domani. Ma lo fanno col massimo della dignità che la loro ferrea (quanto legittima) ambizione richiede, quasi nella laguna dello stallo si trovassero a proprio agio. Del resto, canta Franco Battiato, “Venezia mi ricorda istintivamente Instanbul”.

 

@coconardi