I grillini: Pdl e Pd sono ladri. Scontro con la Boldrini

di Fausto Cirillo

Questa volta i deputati pentastellati non hanno protestato sul tetto della Camera ma direttamente dentro l’aula. Poco prima del voto che ha dato via libera, in prima lettura, al ddl costituzionale che istituisce il Comitato dei 42 chiamato a scrivere le riforme, i parlamentari del Movimento Cinque Stelle hanno mostrato ai colleghi cartelli con la scritta “No deroga articolo 138” su sfondo tricolore, costringendo la presidente della Camera Laura Boldrini a far intervenire i commessi per rimuoverli e a “domare” lo scontro successivo, consumatosi a suon di insulti con i deputati del Pdl. Tra i più accalorati si è distinto Alessandro Di Battista, uno dei dodici “occupanti” del tetto di Montecitorio che, con tanto di gesto delle manette, ha dato dei “ladri” ai colleghi della maggioranza aggiungendo: «Sbagliavamo quando dicevamo che il Pd è uguale al Pdl il Pd è peggio del Pdl». Un’accusa a cui la presidente Boldrini ha risposto con un richiamo che è suonata come una vera e propria gaffe: «Non offenda». A quel punto si sono levate le vivaci proteste dai banchi del Pdl, con il vicecapogruppo Simone Baldelli che ha chiesto maggiore “polso” alla presidenza: «Mi aspetto da lei un atteggiamento davvero imparziale. Il problema non è se i deputati del Pd sono peggio o meglio di quelli Pdl. Il fatto grave e vergognoso è che sia consentito a Di Battista di gridare ladri e altri insulti ai colleghi. Questo è il Parlamento, non è un asilo infantile. Serve fermezza e severità». E così le nuove proteste a cinque stelle hanno costretto la Boldrini a sospendere le ostilità e a convocare una capigruppo che ha rinviato a oggi i punti previsti dal calendario (questione pregiudiziale sull’Imu; trattato Onu sul commercio delle armi; convenzione Oil sul lavoro marittimo) dopo l’approvazione del ddl costituzionale. Non solo. Paradossalmente, la protesta dei pentastellati è servita soltanto a rinviare ulteriormente la discussione in aula di un provvedimento su un tema caro al Movimento 5 Stelle: l’abolizione totale del finanziamento pubblico ai partiti. Valeva davvero la pena di inscenare una gazzarra del genere?