I Lavori pubblici coprono i finti tagli della Boldrini

di Clemente Pistilli

Si fa presto a dire spending review. Facile assicurare risparmi milionari, tagli virtuosi sulle spese, soprattutto quando poi costi notevoli vengono sostenuti da altri. Nel dibattito in corso da mesi sulla cura dimagrante imposta ai bilanci del Parlamento, del Quirinale e di Palazzo Chigi non si è mai affrontato il nodo di chi finanzia la costosa manutenzione dei palazzi che ospitano il cuore pulsante dello Stato. Un onere notevole, per anni sulle spalle del Ministero delle infrastrutture e ora dell’Agenzia del demanio. Spese enormi, che non gravano sui bilanci presentati come esempi di un Paese avviato verso una nuova moralizzazione, ma che sempre gravano sulle casse pubbliche.

Restyling d’oro
Ristrutturare o fare semplice manutenzione su edifici storici come quello di Montecitorio o Palazzo Madama, come il Quirinale o Palazzo Chigi, non è un’operazione da due spiccioli. I costi, considerando il valore di quei beni, sono notevolissimi. Ma non sono un problema per gli inquilini dei quei palazzi. Per loro, come per la Corte Costiruzionale e le sedi di altri organismi, ad esempio il Consiglio di Stato, negli anni ha sempre provveduto il Ministero delle infrastrutture e trasporti. Prima se ne occupava il Genio civile speciale per Roma Capitale, poi il Ministero dei lavori pubblici e infine il Mit, tramite il Provveditorato per le opere pubbliche del Lazio, a cui il Ministero dell’economia e finanze assegna dei fondi ad hoc. Una competenza che, con le nuove norme varate tra il 2011 e il 2012, è poi passata all’Agenzia del demanio, lasciando al Ministero guidato dal ministro Maurizio Lupi e al Provveditorato il coordinamento tecnico. Appalti milionari, necessari anche per la tenuta presidenziale di Castel Porziano, vengono così banditi, gestiti e pagati da altri.

Gestione separata
Nello specifico, prima il Mit e poi l’Agenzia, diventata manutentore unico, sono stati incaricati della manutenzione straordinaria, dell’adeguamento e del completamento degli edifici demaniali in uso alle istituzioni. Guardando soltanto al periodo 2008-2010, il Quirinale ha così schivato spese per 39 milioni di euro, la Camera per 17 milioni, il Senato per 20 e la Consulta per 12.

Virtuosi con maggiore facilità
Semplice senza dover affrontare quelle spese per gli edifici che li ospitano, sbandierare da parte dei presidenti delle Camere o da parte dello stesso presidente della Repubblica di aver contribuito a risollevare le sorti dell’Italia con qualche taglio in bilancio. Un’ulteriore conferma dunque al costo spropositato della politica in Italia. Nel 2012, del resto, la Camera dei deputati e il Senato sono costati 1,5 miliardi di euro, pari allo 0,1% del Pil. La presidente Laura Boldrini e il presidente Piero Grasso ripetono da mesi che con loro si sta risparmiando, che a Montecitorio sono stati tagliati oltre 32 milioni di spese, da portare a 150 in tre anni, e a Palazzo Madama 34, puntando a 100 nel triennio. Alla Camera si continuano però anche a spendere 102 mila euro in guardaroba e un milione e mezzo in matite, tanto per fare qualche esempio. E al Senato 1,6 milioni in caffetteria. A Palazzo Chigi, poi, mentre gli ultimi Governi hanno continuato a chiedere sacrifici agli italiani, le spese sono passate da 411 milioni nel 2012 a 458 lo scorso anno. La Corte Costituzionale? Costa oltre 41 milioni l’anno, mentre quella inglese si ferma a 13,7 milioni. Senza dimenticare il Quirinale. Giorgio Napolitano si è affrettato già l’anno scorso ad annunciare il suo contributo alla spending review, rinunciando all’adeguamento all’indice di prezzi al consumo. La Presidenza della Repubblica costa però 228 milioni ogni anno, contro i 135 della Casa Bianca, i 120 dell’Eliseo e i 57 di Buckingham Palace. Il personale? A disposizione di Napolitano, tra gli altri, due orologiai, tre ebanisti, sei tappezzieri e 41 autisti. E tutto senza contare i milioni in manutenzione.