Il coma profondo dei Pronto soccorso. Dove curarsi ormai è un miracolo. In tutta Italia situazioni disperate

Avevano minacciato mobilitazioni e giorni di lotta, e stanno mantenendo la promessa: medici in formazione in medicina generale, in compagnia di una delegazione di giovani specializzandi, tutti rigorosamente in camice bianco, stanno protestando in tutta Italia. Soprattutto a Roma dove ieri sono scesi in mobilitazione davanti alla Camera dei Deputati. L’obiettivo, ovviamente, è quello di sensibilizzare Governo, Parlamento e Regioni sui problemi della categoria, tra tagli, precariato, orari insostenibili e blocco del turn-over (vedi articolo a lato). E, tra le tante Regioni, i dati parlano di una situazione profondamente critica anche nel Lazio.

I DATI
Sono i numeri, d’altronde, a parlar chiaro. Secondo quanto denunciato ieri dal consigliere regionale e membro della commissione Salute Fabrizio Santori, la crisi del sistema ospedaliero ha dei risvolti profondamente critici nel servizio offerto. E così i pazienti in attesa nei pronto soccorso costituiscono una mole sconcertante: 98 al Sandro Pertini, 68 al Santa Maria Goretti di Latina, 63 al Grassi di Ostia, 89 al San Camillo Forlanini, 85 al San Filippo Neri, 103 a Tor Vergata, 130 al Policlinico Umberto I. Numeri, questi, che spiegano le ragioni della protesta di ieri.

L’IMPEGNO
La situazione, d’altronde, come spiegato anche dal consigliere Michele Baldi (vedi intervista nel box a lato), non è facile da affrontare, soprattutto considerando i 7 anni di commissariamento da cui proviene la Regione. Qualche passo in avanti, però, è stato fatto. Soprattutto per snellire i pronto soccorso stessi. “Abbiamo creato – dice Baldi – ambulatori con medici di base, uno per ogni municipio, aperti anche i weekend e i festivi per i codici bianchi, cosicché questi non vadano a gravare sui pronto soccorso”. Una stima preventiva parla di 150 mila codici bianchi “risparmiati” agli ambulatori ospedalieri e ai quali, peraltro, viene comunque offerto un servizio efficiente e agevole.

DIVAMPA IL PRECARIATO
Un impegno concreto, dunque. Ma che, per ora, non basta per risollevare le sorti della sanità laziale. Soprattutto a causa del blocco del turn-over. I dati parlano di ben 8 mila fuoriuscite negli ultimi annni per tale blocco e, ancora, 3.400 precari nella sanità pubblica del Lazio. Servono fondi. Ma qui le responsabilità continuano a viaggiare in una serie di rimpalli tra Regione e Governo.

di Alessandro Righi

Anche gli ospedali scioperano. Operatori sanitari, medici, infermieri. Ieri per due ore e mezza (dalle 10 alle 12,30) i principali pronto soccorso del Paese si sono fermati. Braccia conserte. Dal San Camillo di Roma al Policlinico di Bari, dall’Ospedale Careggi di Firenze al San Carlo di Milano, dal Cardarelli di Napoli fino al Mauriziano di Torino. Tutto è nato tramite l’iniziativa “#ProntoSoccorsoKo”. Perché, nei fatti, è proprio un ko quello di cui parliamo.

TRAGICA REALTÀ
Bastino alcuni dati per comprendere le ragioni della serrata. Dal 2001 al 2015 la sanità pubblica è stata vittima di una vera e propria mannaia, con una decurtazione dal bilancio di ben 31 miliardi di euro, a cui ora si aggiungeranno gli altri 4 previsti dalla Legge di Stabilità del Governo di Matteo Renzi. Tagli che, ovviamente, ricadranno sui bilanci regionali. Tali riduzioni, ovviamente, non può che portare ad una drastica riduzione del personale. Una riduzione, come denunciano i sindacati di categoria, senza precedenti. Parliamo di meno 23.500 operatori sanitari, di cui cinquemila medici solo tra il 2009 e 2013. Ma non finisce qui. Perché tali tagli vanno poi, di conseguenza, ad alimentare il precariato. È l’ultimo rapporto della Ragioneria Generale dello Stato a riguardo, infatti, che sottolinea come siano 32mila gli operatori con contratti di lavoro flessibili, a cui si aggiungono gli oltre 20mila tra collaboratori e consulenti delle aziende sanitarie locali. Finita qui? Certo che no. Perché il vero colpo mortale, conseguenza di una situazione per quanto descritto alla deriva, sta nell’offerta. La rete ospedaliera, infatti, si è profondamente indebolita: i posti letto sono passati in 12 anni da 4,7 ogni mille abitanti a 3,4, contro una media Ocse del 4,8. A questo si aggiunge un forte invecchiamento del personale a causa del blocco del turn over, che ha impedito il ricambio generazionale.

IL CASO DI TORINO
Tra le tante criticità, in Piemonte la situazione pare essere sempre più insostenibile. Ieri, in segno di protesta, è stato steso un manichino a terra, davanti all’ospedale, a rappresentare metaforicamente la sanità “malata”, assistito da medici, infermieri, cittadini, sindacalisti, nel tentativo di rianimarlo. Un flash mob dall’alto valore simbolico dato che, dicono i sindacati, “in tutto il Piemonte sarebbero necessarie 600 assunzioni. Per fare un esempio del carico di lavoro al quale è sottoposto il personale sanitario del Mauriziano, al 31 dicembre 2014 gli infermieri hanno usufruito di 168 giorni di ferie su un totale annuo sommato per tutti gli infermieri di 1.266, debito che l’azienda protrae ormai da anni”.

LA PROMESSA
Sembra, però, che ora qualcosa possa sbloccarsi. Due giorni fa, infatti, la Conferenza Stato-Regioni ha espresso l’intesa sullo schema di Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, con cui si dà “una prima risposta alla stabilizzazione dei migliaia di precari del Servizio sanitario nazionale”. Il testo prevedrebbe la possibilità di avviare procedure concorsuali riservate al personale precario del Ssn, per coprire sino al 50% dei posti disponibili. Una proposta, però, su cui ancora bisogna lavorare concretamente.