Il genocidio siriano non si ferma: nuovi attacchi tossici sui civili. E mentre in Siria si muore, Trump e Putin giocano a chi ha il missile più grosso

Il genocidio siriano non si ferma: nuovi attacchi tossici sui civili. E mentre in Siria si muore, Trump e Putin giocano a chi ha il missile più grosso

Bambini, donne, uomini. Giovani e meno giovani. Tutti, indistintamente, sono vittime di attacchi chimici. È questa la denuncia lanciata ieri dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Il pericolo, d’altronde, era nell’aria. E ieri è arrivata la conferma: a seguito del bombardamento di sabato su Duma, nella regione del Ghuta Orientale, in Siria, “circa 500 pazienti si sono presentati presso strutture sanitarie esibendo sintomi coerenti con l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, come grave irritazione delle mucose, insufficienza respiratoria e interruzione del sistema nervoso centrale. Oltre 70 persone che si erano rifugiate negli scantinati sono morte, 43 delle quali con sintomi da esposizione a sostanze tossiche”. L’ultimo capitolo di un genocidio che non stenta a fermarsi. Secondo i dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, un gruppo di monitoraggio con sede nel Regno Unito, dal 2011, anno in cui è scoppiata la guerra tra il regime di Bashar al-Assad e diverse  forze ribelli presenti soprattutto nell’area meridionale del Paese, sono morte 353.900 persone, inclusi 106mila civili. A questo bilancio vanno aggiunte 56.900 persone. Una tragedia dalle proporzioni bibliche.

Siria
Lo speciale de La Notizia sulla guerra in Siria del 14 marzo 2018

Il copione – Non è la prima volta, peraltro, che la minaccia di armi chimiche si affaccia in Siria. Già a settembre 2015, infatti, l’Opac (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche) affermava di avere “conferme convincenti” sull’uso di agenti chimici in Siria e qualche settimana più tardi le forze Usa e cinque alleati arabi (Bahrain, Arabia Saudita, Qatar, Giordania ed Emirati Arabi Uniti) hanno lanciato i primi raid contro obiettivi dell’Isis in Siria. Ma è nell’aprile del 2017 che si raggiunge il picco dello scontro: è il 4 aprile quando arrivano le prime notizie di decine di persone rimaste uccise in un presunto attacco chimico. È la strage di Khan Sheikhoun, nella provincia di Idlib. Come risposta, gli Usa colpiscono la base aerea siriana di Shayrat, nella provincia di Homs, da dove sarebbero decollati i velivoli responsabili dell’attacco contro Khan Sheikhoun. La base viene colpita da 59 missili lanciati dai cacciatorpedinieri a stelle e strisce di stanza nel Mediterraneo orientale. Insomma, stesso copione che potrebbe ripresentarsi oggi.

Tempi lunghi – Intanto continuano le accuse reciproche. La Russia, per bocca del suo ministro degli Esteri, ha fatto sapere che i missili che il presidente Usa Donald Trump ha promesso di lanciare in Siria, distruggerano le prove dei sospetti attacchi chimici. Quasi a dire, insomma, che semmai ci siano stati attacchi chimici, non sarebbero opera di Assad, come va ripetendo la Casa Bianca, ma di forze vicine agli stessi Stati Uniti. Basti ricordare la risposta piccata dellla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ad uno dei tanti tweet di Trump in cui invitava a metter fine alla corsa agli armamenti: “Grande idea! C’è la proposta di cominciare con la distruzione di armi chimiche. Quelle americane!”, ha scritto come a dire che potrebbero cominciare gli Usa col distruggere il proprio arsenale. Ora toccherà all’Opac pronunciarsi. Ma i tempi non sono così immediati. Ci potrebbe, infatti, volere un mese per conoscere l’esito dell’indagine che l’Opac condurrà sul presunto attacco chimico a Douma. A riferirlo è stato lo stesso direttore dell’Organizzazione, Ahmet Uzumcu, ribadendo che una delegazione di dieci esperti partirà presto alla volta della Siria. Sperando che i tempi non si allunghino troppo. Perché intanto lì, in Siria, si continua a morire.

Russia e Usa non scherzano: ora la guerra è più vicina

Un botta e risposta surreale e inquietante, quello tra Washington e Mosca. A suon di comunicati, note e tweet. E il risultato è una tensione talmente alta in Siria da rendere più che concreta la possibilità di un conflitto globale. Difficile dire quanto con precisione l’affaire siriano sia scoppiato, considerando che la guerra civile va avanti dal 2011. Ma l’escalation degli ultimi giorni è stata clamorosa: sabato l’attacco nella regione orientale delle truppe di Assad, da qui la denuncia dell’utilizzo presunto di armi chimiche, poi la mossa Usa che martedì ha fatto spostare un cacciatorpediniere, mossa che Siria e Russia hanno letto come un atto intimidatorio. A questo punto la risposta è arrivata da Cremlino, con le parole dell’ambasciatore in Libano, Alexander Zasypkin, riportate da Russia Today. L’esercito russo si riserva il diritto di “abbattere i missili” e “distruggere le fonti di lancio” in caso di aggressione degli Stati Uniti. Effetto domino continuo, dunque. E inarrestabile. Donald Trump non ha perso tempo e ha reagito a modo suo: “La Russia minaccia di abbattere tutti i missili sparati verso la Siria. Tieniti pronta Russia, perché stanno per arrivare, belli, nuovi e ‘intelligenti‘! Non dovreste essere alleati di un animale assassino che uccide la sua gente con il gas e si diverte!”. La replica immediata della portavoce del ministero degli Esteri di Mosca: “I missili ‘intelligenti’ dovrebbero volare verso i terroristi, non verso il governo legittimo” della Siria. Trump twitta ancora: “Le nostre relazioni con la Russia sono peggiori di quanto non lo siano mai state, compresa la Guerra Fredda“. E mentre il governo siriano definisce “spericolate” e “avventate” le minacce americane (“il pretesto delle armi chimiche è evidentemente una scusa debole e non sostenuta da prove”, recita un lancio di agenzia ufficiale), l’Europa si schiera al fianco di Trump. Già da martedì, d’atronde, Theresa May ha parlato con Emmanuel Macron, in un triangolo di telefonate che presagisce un’azione comune con Parigi e Londra. Secondo Associated press, i dirigenti dell’amministrazione Usa stanno discutendo con dirigenti di Francia e Gran Bretagna per una possibile risposta militare comune in Siria. L’Ap cita dirigenti americani, secondo cui gli alleati starebbero valutando di lanciare un attacco entro fine settimana. Per ora, tuttavia, non c’è alcuna conferma dal Pentagono: fonti ufficiali fanno sapere che l’attacco è allo studio, ma ancora non c’è alcuna data certa.

Sottomarini russiVladimir Putin, dal canto suo, non sembra voler fare il minimo passo indietro. Il portavoce Dmitri Peskov ha risposto a tono a Trump: “Non prendiamo parte alla Twitter-diplomazia, sosteniamo approcci seri. Come sempre, crediamo che sia importante non intraprendere passi che potrebbero danneggiare una situazione già fragile”, ha affermato rivolgendosi al presidente Usa, ormai noto per la valanga di tweet che posta. Ma c’è di più. Nonosante la minaccia di lanci di missili, la marina militare russa non sembra aver intenzione di arretrare. Effettuerà esercitazioni belliche nei pressi delle acque territoriali siriane anche oggi. E poi ancora dal 17 al 19 aprile e dal 25 al 26 aprile. La zona interessata alle esercitazioni sarà chiusa. Secondo Interfax, sono 15 i vascelli russi coinvolti, tra cui le fregate Grigorovich ed Essen, dotate di missili da crociera Kalibr, e sottomarini. Inoltre la Russia ha annunciato che da oggi la sua “polizia militare” sarà schierata a Douma, per garantire “ordine e sicurezza”. Assad, intanto, resta a guardare. Da Damasco: è stata smentita l’indiscrezione secondo cui sarebbe fuggito in Libano.