Il mago di Turi che lanciò Capello

di Pasquale Tritta

Istantanee scolorite di un calcio che non c’è più. Di quando l’intero panorama calcistico nazionale si ritrovava attorno ad un pallone che iniziava a roteare rigorosamente alle 14,30 in punto. Parliamo di un calcio d’antan, meno frenetico e più poetico, non ancora pervaso dall’etere delle tante tv, quando per vedere i gol bisognava attendere “90° minuto” alle 18.00 e sperare che non vi fossero problemi di trasmissione, altrimenti si dovevano attendere le 20.00, orario d’inizio di “Domenica Sprint”.
Ecco, di quel calcio faceva parte anche Oronzo Pugliese (pugliese di nome e di fatto), nato a Turi, provincia di Bari, il 5 aprile 1911 e da cui il conterraneo Lino Banfi ha tratto liberamente ispirazione per il suo Oronzo Canà, personaggio ormai divenuto celebre nel film “L’allenatore nel pallone”. Pugliese è stato probabilmente il pioniere-prototipo dell’allenatore motivatore, che spronava i suoi giocatori più sotto il profilo mentale che quello tecnico-tattico. Padre e madre contadini, da calciatore Oronzo Pugliese non ebbe molta fortuna. Era considerato un jolly, ovvero un giocatore versatile nei ruoli da ricoprire. Militò in alcune formazioni pugliesi, laziali, toscane e siciliane. Ma nel suo destino c’era la panchina, da dove impartiva, spesso e volentieri, indicazioni ai suoi giocatori in vernacolo del suo paese. Alcuni calciatori, pur non capendo il suo idioma, riuscivano comunque ad esprimere il meglio durante le partite. Pugliese era vivacissimo quando dirigeva i suoi uomini; chissà che non abbia ispirato anche le esasperazioni gestuali di Josè Mourinho. La spontaneità unita alla teatralità dei gesti e all’efficacia in termini di risultati ottenuti dalle squadre allenate, il suo modo ruspante di vivere la partita, lo fecero balzare immediatamente agli onori della cronaca sportiva. Iniziò con il Leonzio, formazione di Lentini in provincia di Siracusa.

Il figlio Matteo disse che lo ricompensavano ogni fine mese con alcune ceste di arance! Allenò dalla quarta serie alla serie A. I migliori risultati li ebbe con la Reggina, con cui vinse il campionato approdando in serie C; con il Siena, con cui sfiorò la serie B dopo lo sfortunato spareggio perso contro l’Ozo Mantova; cadetteria che riuscì ad agguantare con i satanelli del Foggia nel ’61-’62, con cui successivamente arrivò in massima serie. Non a caso proprio nel 1964 Pugliese fu insignito del prestigioso premio del Seminatore D’Oro proprio per aver portato i dauni in serie A. I suoi giocatori non si davano mai per vinti anche contro squadre di livello mondiale, come ad esempio l’Inter del “mago Herrera”. “Ventidue gambe hanno loro, ventidue gambe abbiamo noi”, questa una delle frasi maggiormente impiegate da Pugliese quando si incontravano gli squadroni del nord.
Così Pugliese riusciva ad esorcizzare eventuali timori riverenziali dei suoi ragazzi al cospetto delle cosiddette squadre blasonate che annoveravano tra le proprie fila campioni di caratura internazionale. Il suo neopromosso Foggia batté allo “Zaccheria” l’Inter per 3-2 nella stagione 64’-65’, cosa che gli riuscì anche quando Pugliese andò ad allenare la Roma facendo esordire la giovane promessa Fabio Capello. Questi successi contro Helenio Herrera gli valsero l’appellativo di “Mago di Turi”. L’esperienza capitolina durò tre stagioni, dal ’65 al ’68; in seguito approdò a Bologna, Bari, Fiorentina, di nuovo Bologna, Lucchese, Avellino e Crotone, compagine con cui chiuse la sua carriera da allenatore nella stagione sportiva ’77-’78. Pugliese morì a Turi l’11 marzo del ’90. L’amministrazione comunale di Turi gli ha dedicato la via che conduce al campo sportivo comunale, oltre ad aver indetto il “Premio Nazionale per lo Sport – Oronzo Pugliese” dal 2008. Di Pugliese ci rimangono i ricordi, alcune sue frasi, fotografie ingiallite di una persona schietta e amante del calcio, che trasmetteva ai suoi uomini la consapevolezza di non sentirsi inferiori a nessuno. Di un calcio d’altri tempi, di immagini in bianco e nero, di partite tutte allo stesso orario, di campi spesso spelacchiati ma intrisi di vera passione. Di un calcio che ormai non esiste più.