Il mattone di Stato non rende. Ma i manager sono eterni. Il caso Invimit: investe poco e costa più di quello che rende. Tanto il conto lo paghiamo noi

Si trattasse di una società privata, gli azionisti sarebbero quanto meno perplessi. Il capitale di otto milioni è stato consumato a fronte di una operatività quasi inesistente. Ma Invimit è una società interamente detenuta dal Ministero del Tesoro. E qui evidentemente devono contare altre logiche piuttosto che il risultato, visto che nel giro di nomine in arrivo ci sarebbe l’intenzione di confermare l’amministratore delegato, quella signora Elisabetta Spitz che dopo due anni al timone ha fatto un po’ di comunicazione e quasi niente altro. Nonostante le ambizioni e le potenzialità del Fondo, Invimit non è mai decollata. E alla fine il Tesoro ci sta pure rimettendo. Per andare avanti potrebbe essere necessario aumentare il capitale. Servono altri soldi pubblici, insomma.

SOLDI MALE UTILIZZATI
Invimit era nata con grandi prospettive. Lo scopo era e resta di valorizzare l’immenso patrimonio immobiliare dello Stato attraverso la costituzione di appositi fondi chiusi. Si tratta in sostanza di una Sgr, ovvero una società di gestione del risparmio che dovrebbe funzionare come un Fondo di fondi. Ad oggi però di questi fondi ne è operativo solo uno, denominato i3core, dotato di un miliardo e quattrocento milioni conferiti dall’Inail. Soldi che però restano bloccati su un conto di liquidità, che renderà pure lo 0,4% ma in questo modo non consente di realizzare nessuna attività di istituto. E con gli interessi che ci prende, Invimit non riesce a sostenerci neppure le spese di funzionamento. Tanto che ci fa? A fine anno paga il Tesoro e mentre c’è conferma pure i vertici. Nomi che d’altronde sono considerati intoccabili. Partiamo proprio dalla Spitz, ex moglie dell’ex democristiano e poi numero due dell’Udc, Marco Follini. Un politico diventato famosissimo nel 2006 quando appena eletto con il centrodestra passo dall’altra parte, salvando il governo Prodi. La signora Spitz, ex direttore dell’Agenzia del Demanio, è riuscita a fare sempre carriera nella pubblica amministrazione, malgrado decisioni che resteranno tra le più curiose nella storia di tutte le attività economiche dello Stato. Pur guidando una società che ha come mission la valorizzazione di un immenso patrimonio pubblico, proprio la Spitz ha firmato un contratto con Inarcassa per affittare la sede stessa di Invimit. Della questione La Notizia si è occupata con un articolo del 10 settembre 2013. La Spitz stessa rispose spiegando che l’affitto si sarebbe pagato a una società pubblica esattamente come a una privata e comunque non si era trovato un solo immobile pubblico confacente alle esigenze del Fondo. Strano davvero, visto l’immenso numero di immobili di cui parlano le cronache della affittopoli romana. Qualcuno ha battuto ciglio? Al Tesoro assolutamente no, forse anche perché alla presidenza di questa Invimit c’è un ex capo di gabinetto – guarda caso – dello stesso ministero dell’Economia, quel pluripoltronato Vincenzo Fortunato che mentre ci stava trovava anche il tempo per fare il collaudatore del Mose di Venezia, il docente alla Scuola della pubblica amministrazione e il liquidatore della Società Stretto di Messina. Virtù di certi grandissimi manager pubblici, essere in cento posti contemporaneamente.

MANDARINI
Così Invimit è rimasta una principessa fuori da ogni ballo. Il principe azzurro non s’è visto e ora tocca allo Stato pagare pure il conto della festa a palazzo: stipendi dei manager, costose consulenze e pure la locazione dell’ufficio da un privato. Davvero incomprensibile come il ministro Pier Carlo Padoan possa considerare un tale curriculum per la conferma di vertici con tali risultati.