Il Meridione sta sprofondando: l’occupazione resta un miraggio. Nel Mezzogiorno persi 310mila posti rispetto al 2008

Il Meridione sta sprofondando: l'occupazione resta un miraggio. Nel Mezzogiorno persi 310mila posti rispetto al 2008

Forse una domanda in più Luigi Di Maio e Matteo Salvini dovranno porsela considerando che, a quanto pare, alcun capitolo del fatidico programma è dedicato al Mezzogiorno. Eppure sarebbe il caso considerando l’ultimo quadro tratteggiato dall’Istat nel consueto Rapporto annuale, presentato ieri alla Camera dei Deputati dal presidente Giorgio Alleva. Se infatti la crescita si è consolidata (il Pil è cresciuto dell’1,5%, registrando il miglior risultato dal 2010), se l’occupazione pare essere tornata quasi ai livelli precrisi (il monte-ore ha raggiunto quota 10,8 miliardi, vicinissima ormai ai circa 11,5 miliardi di ore nel 2007), è altrettanto vero che il Sud resta indietro. Parecchio indietro. Il Mezzogiorno, che tra il 2015 e il 2016 aveva registrato una crescita superiore a quella del resto del Paese, si spopola e la popolazione si concentra sempre di più nelle grandi città del Nord. E questo, inevitabilmente, porta a un depauperamento sotto tutti i punti di vista. Se nel resto del Paese si registra, come detto, un forte recupero del mercato del lavoro, il  Sud rimane infatti l’unica ripartizione con un saldo occupazione ancora negativo rispetto al 2008 (310mila lavoratori in meno rispetto ai livelli precrisi). Mentre per il resto del Paese va molto meglio: il tasso di occupazione cresce in Italia per il quarto anno consecutivo, attestandosi al 58% nel 2017, tuttavia ancora lontano dalla media Ue. Cresce molto la componente femminile (+1,7% dal 2008) ma l’Italia continua ad essere il Paese Ue con il tasso di occupazione femminile più basso (48,9% contro il 62,4%). Ma non è tutto. Come se non bastasse, infatti, cresce anche l’allarme povertà, mentre si riduce nel Centro e nel Nord: riguarda poco meno di 1,8 milioni di famiglie, con un’incidenza del 6,9%, in aumento rispetto al 6,3% del 2016.

Rivoluzione lavoro – Una situazione evidentemente disastrosa, derivante anche da un cambiamento epocale nel mercato del lavoro negli ultimi. E, manco a dirlo, anche da una politica che non è riuscita ad intervenire come avrebbe dovuto. Anche in questo caso sono i dati a fotografare in maniera oggettiva la realtà italiana: nell’ultimo decennio l’industria ha perso 896mila dipendenti e i servizi ne hanno acquistato 810mila; un milione di operai sono usciti dal mercato mentre sono entrati 861mila impiegati; sono scomparsi 500mila autonomi e sono entrati altrettanti lavoratori dipendenti e ci sono un milione di part-time in più, il lavoro è decisamente più precario rispetto a dieci anni fa.

Fuggi fuggi generale – Ma non è solo il mondo del lavoro che è cambiato: il Sud, che tra il 2015 e il 2016 aveva registrato una crescita superiore a quella del resto del Paese, si spopola e la popolazione si concentra sempre di più nelle grandi città del Nord. Ma l’emigrazione non è solo interna, ma anche estera: solo nel 2017 153mila italiani si sono cancellati dall’anagrafe per traferirsi all’estero. Quel che resta è un Paese povero, anziano e solo. E la qualità della vita da anziani dipende molto da dove si risiede con differenze, manco a dirlo, significative tra Nord e Sud. Se la media nazionale è di 60 anni vissuti in buona salute per gli uomini e 57 anni e 8 mesi per le donne, chi nasce nella provincia autonoma di Bolzano ne guadagna quasi 10, mentre in Calabria e Basilicata si scende 51,7 per gli uomini e 50,6 anni per le donne.