Il mistero delle bombe di Reggio Calabria

Il procuratore generale Salvatore Di Landro racconta la sua verità sul pentito-spentito

di Nerina Gatti

“In tre anni non si è arrivati ancora ad una verità sulla strategia del terrore attuata a Reggio Calabria nel 2010”. A parlare è il procuratore generale Salvatore Di Landro, la più alta carica della magistratura requirente della città sullo Stretto. Riusciamo a contattare Di Landro telefonicamente, a Reggio nessuno sa dove sia. “Sono in vacanza, non sono sparito” ci rassicura Di Landro. Conferma di aver inviato un ampio dossier a Roma sulle ultime vicende che circondano la sparizione dell’ex pentito Nino Lo Giudice e agli interrogativi che il suo memoriale sta suscitando in varie procure d’Italia.

Le ombre su Nino “il nano”
Ma ha voglia di chiarire, perché intorno al pentito “spentito” Nino “il nano” Lo Giudice ci sono troppe ombre. Lui l’ha da sempre sostenuto, dentro e fuori le aule di tribunale, ma purtroppo fino ad ora nessuno aveva voluto vederci chiaro. Allora Di Landro prende carta e penna e prima di partire per le vacanze, mette tutto nero su bianco.
Nino detto “il nano”, si era autoaccusato degli attentati del 2010 nei confronti di alcuni magistrati della procura di Reggio Calabria, era agli arresti domiciliari. Scompare due settimane fa circa, fa recapitare un plico contenente un memoriale e un video in cui ritratta tutte le accuse e al tempo stesso afferma di esser stato indotto a mentire da quella che lui definisce “la cricca inquisitoria” di cui farebbero parte fra gli altri l’ex procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone ora a capo di quella romana e l’ex capo della Squadra Mobile reggina, Renato Cortese, anche lui ora a Roma. Ricostruendo le pressioni subite, Lo Giudice lancia accuse anche al procuratore aggiunto della Dna Gianfranco Donadio che si occupa delle indagini sulle stragi di Palermo e che lo avrebbe interrogato in merito.
Ma perchè il procuratore generale ha sentito il bisogno di informare Roma su queste vicende solo ora se è da sempre che dichiara, anche, in sede processuale, che il vero mandante delle bombe non era Lo Giudice? “Perchè in tre anni non si è riusciti a capire la verità! Ho sentito l’esigenza di relazionare gli organi istituzionali centrali su questa vicenda. Una relazione, corposa nella quale si parla ovviamente di Lo Giudice delle sue dichiarazioni, che io ho commentato, evidenziando che ci sono grosse incongruenze. Anche nel memoriale ci saranno cose vere e cose false, ma alla luce del suo comportamento, si desume che avevo ragione che se a mettere le bombe era stato lui, l’aveva fatto su mandato di altri…”.
Burattini e burattinai
Chi sarebbero gli altri? “Non so” risponde. Nel memoriale “il nano” riferendosi a Di Landro dice che “lui sapeva chi sono I burattini e I burattinai”. Sempre secondo il procuratore generale il memoriale sembra scritto per giustificarsi con qualcuno: “Quindi c’è la prova che esiste un burattinaio al quale lui fa riferimento”. Ribadisce con fermezza che “la causale per gli attentati non era la sua”. Fatto che viene evidenziato anche dal gip di Catanzaro Assunta Maiore , che ha emesso le ordinanze di custodia cautelare per gli attentati, che osservava come, rispetto alle dichiarazioni di Lo Giudice, mancassero l’attendibilità sulla causale, la genesi e la scelta degli obbiettivi. Il dossier di Di landro in pratica è una richiesta d’ispezione sull’intera vicenda Lo Giudice e anche una richiesta di chiarezza sulle ombre e i misteri che hanno circondato le intercettazioni preventive disposte dalla procura negli anni di Pignatone.
Sembra di esser stati catapultati nella Palermo dei veleni. Degli scontri incrociati tra magistrati. Dei pentiti il cui pentimento più che a fare chiarezza intorbidisce le già poche verità. Chi è che usa Lo Giudice? A chi giova la “collaborazione” di questo “nano” che vendeva angurie sul lungomare reggino?
“Sarebbe ingenuo pensare e limitare il memoriale di Lo Giudice e i messaggi in esso contenuti solo alle indagini che lo riguardano direttamente”. Queste sono le parole del nuovo capo della procura di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, che in merito alla vicenda non ha voluto commentare oltre.