Il Molise lascia incustoditi i suoi tesori archeologici. Sommersa da erbacce e speculazione edilizia l’antica città di Sepino è nel degrado totale

di Antonello Di Lella

La cinta muraria dell’antica città romana di Altilia-Saepinum interrompe all’improvviso la quiete e il verde dei pascoli molisani. Un’indicazione microscopica, lungo la superstrada che collega il Molise alla provincia di Benevento, nel giro di pochi metri ci proietta migliaia di anni indietro nella storia dell’antica Roma. Sono quattro le porte d’accesso all’antica città sorta in territorio sannita. L’ingresso è libero: anni di storia incustoditi tra erbacce, case (abitate) edificate sulle mura preesistenti e talvolta autovetture in sosta e animali al pascolo.

Difficile orientarsi

Cardo e decumano dividono l’area in quattro settori dove è possibile visitare la basilica, il teatro, il foro, il macellum e tanti altri edifici millenari risalenti al IV secolo a.C. Al di fuori delle mura, come da tradizione romana, si trovano due mausolei di proprietà della famiglie di Numisio Ligo ed Ennio Marso. Ma ai visitatori dell’area archeologica non resta che affidarsi all’intuito e alle proprie conoscenze pregresse. Sono pochissimi i cartelli esplicativi delle opere d’arte e trovare una guida che possa accompagnare i visitatori lungo il percorso è solo un miraggio. La soprintendenza, che ha un ufficio all’interno dell’area, non ne ha a disposizione: occorre affidarsi a guide turistiche private che comunque non si trovano nell’area archeologica. E’ necessario telefonare e attendere il loro arrivo. Almeno i numeri di telefono, però, li mettono a disposizione. Dov’è il museo? Se lo chiedono un po’ tutti i visitatori. Non c’è un’insegna e chi ne ha segnalato l’assenza a una delle responsabili si è sentito rispondere “deturperebbe le mura”. Criterio che non è stato adottato per le indicazioni dei servizi, con una segnaletica ben vistosa, “WC”, affissa sulle mura. Il mistero viene risolto dal custode che ci indica il museo archeologico che custodisce i reperti rinvenuti nella zona, dall’epoca paleolitica fino a quella altomedievale. E’ chiuso. Ma volendo la soprintendenza viene ad aprirlo di corsa.

Il libro dei visitatori

“Valorizziamo il nostro Molise”, è il grido dei molisani. Basta girarsi intorno per poter affermare che qualcosa di meglio potrebbe essere fatto. “It’s a very interesting place, but…dovrebbe essere curato meglio”, affermano due turisti statunitensi bloccati all’ingresso di Porta Benevento. Soldi, però, non ce ne sono e “quest’anno” spiegano dalla soprintendenza, “ci sono problemi anche per tagliare l’erba”. L’area di 12 ettari è affidata a tre custodi, fino a qualche anno fa ve ne erano 16. E’ agguerritissimo, invece, il professore di Cardiologia di Torino Michele Casaccia che ha raggiunto il Molise con alcuni amici: “Uno schifo tutta questa incuria. Sono qui per la seconda volta e la situazione è peggiorata. Non è possibile custodire una ricchezza in questo modo: vi è una pavimentazione di epoca romana lasciata lì all’aria aperta senza alcuna tutela”. Sulla stessa lunghezza d’onda Roberto Mortarini, da Panama: “Occorrerebbe investire nell’arte. Ho un figlio archeologo che lavora in Turkmenistan: quello si che è un Paese che paga pur di divulgare la propria archeologia”.

Investimenti al vento

Fatti salvi piccoli interventi di scavo e restauro poco o niente è stato investito dal Ministero per i Beni Culturali e dalla Regione. Chi invece ha deciso di investire nell’area circostante è l’Essebiessepower che nel 2005 ha presentato alla soprintendenza archeologica del Molise un progetto per l’istallazione, di fronte all’area storica, di 16 pale eoliche alte 130 metri ciascuna. Progetto autorizzato dall’allora soprintendente Mario Pagano e poi impugnato dal direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici Gino Famiglietti. Fatto sta che sono partiti una serie di ricorsi alla giustizia amministrativa e si è giunti nel 2012 all’inizio dei lavori. Solo un ritrovamento di una strada di epoca sannitica li ha bloccati. Il tutto dinanzi a un ente regionale che, oltre a non aver investito nulla nel turismo, non è stato in grado nemmeno di dotarsi di una normativa a tutela delle aree archeologiche.