Il Punto di Mauro Masi. Gli Smartphone possono diventare addirittura uno strumento di psicoterapia

Uno studio dell’università di Harvard suggerisce la possibilità che lo smartphone possa aiutare a contrastare alcuni comportamenti negativi

Uno dei temi più trendy sulla stampa anglosassone, specializzata e non, è quanto ormai Internet incida anche sulla nostra psiche. E’ tutto un’ apparire di studi, ricerche, saggi che, sostanzialmente, vogliono metterci in guardia dalle distorsioni cognitive e comportamentali che può creare un uso abnorme della Rete. Da noi questi temi non sono una novità: non molto tempo fa infatti sono apparsi sulla stampa italiana articoli che hanno riportato brani di un interessantissimo studio realizzato da un gruppo di lavoro della scuola di psicologia dell’Università di Firenze. Si è approfondita, attraverso esami incrociati su un campione di 535 studenti, la relazione tra “il tratto narcisista e l’uso di Internet”. Le conclusioni sono devastanti: selfie e followers stanno fomentando un narcisismo dilagante: un narcisismo digitale alimentato da uno “smodato culto della personalità”. Una personalità peraltro che non è quella reale ma è piuttosto una personalità modellata appositamente per la Rete, per la proiezione verso gli altri utenti del Web con atteggiamenti “che sorprendano e facciano parlare in Rete”. Quindi Internet non ci renderebbe solo più stupidi (come anche io ho scritto nel libro pubblicato nel 2015 da Class Editori) ma anche sempre più disadattati. Ma è davvero così? Non tutti sono d’accordo, anzi negli Stati Uniti già da un paio di anni si sta esplorando un terreno nuovo e sorprendente per l’utilizzo degli Smartphones (ormai divenuti essenzialmente il terminale portatile per la  Rete). Questi possono diventare addirittura uno strumento di psicoterapia. Uno studio molto serio e documentato dell’università di Harvard suggerisce infatti la possibilità che attraverso delle specifiche applicazioni lo smartphone possa aiutare a contrastare alcuni comportamenti negativi che, in certi contesti, può assumere inconsciamente il cervello umano.  È, in particolare, il caso di coloro che soffrono di “ansietà sociale” una forma di forte e invalidante timidezza. Questi soggetti tendono inconsciamente ad individuare in un insieme di persone quelle che sembrano avere il viso più ostile e “fissarsi” su di essi ignorando tutti gli altri e restandone paralizzati. Una delle applicazioni testate da Harvard- nel quadro di un approccio definito Cognitive Bias Modification CBM (modifica dei pregiudizi cognitivi) – fa apparire sul telefono, come in una sorta di gioco informatico, delle facce ostili insieme ad altre normali e con un semplice meccanismo abitua ad identificarle e scaricarle. Va ripetuta nel tempo e in ogni circostanza si voglia fino a farlo diventare – proprio come in un video-gioco  – una sorta di comportamento “automatico” per la nostra mente. Gli studi sono solo agli inizi e tra gli addetti ai lavori si registrano grandi entusiasmi ma anche diffuse freddezze.

Mauro Masi * delegato italiano alla Proprietà intellettuale