Il referendum come la Brexit. La stampa internazionale fa da megafono alla finanza: l’allarmismo vota Sì

Anche l’Italia ha la sua Brexit. Non nella forma, con l’uscita dell’Unione europea, ma nella sostanza dell’allarmismo professato sul referendum.

Anche l’Italia ha la sua Brexit. Non nella forma, con l’uscita dell’Unione europea, ma nella sostanza dell’allarmismo professato all’unisono dalla grande stampa internazionale. Che così si è fatta megafono delle istituzioni economiche più importanti. Sì, perché il referendum del 4 dicembre ha scatenato la solita offensiva mediatica: Wolfgang Münchau, direttore associato del Financial Times, è solo l’ultimo, in ordine di tempo, a dipingere la presunta apocalisse in arrivo sui cieli della Penisola, in caso di bocciatura della riforma. Il giornalista ha infatti previsto “una sequenza di eventi che metterebbe in dubbio l’appartenenza dell’Italia alla zona euro”, trovando un legame tra il voto sulla Costituzione e la salute dell’eurozona.

Déjà-vu – Un canovaccio – seppure con protagonisti e temi differenti – di un film già visto con il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna in Europa. Non bisogna compiere un titanico sforzo di memoria per ricordare che anche allora una serie di report e di allarmi avevano paventato una catastrofe totale. Favorendo un clima di terrore sfociato nel tracollo-record delle Borse il giorno dopo la vittoria della Brexit. In questa direzione va anche l’articolo del Wall Street Journal, che ha parlato di investitori pronti “al tumulto” sui mercati. Toni non lontani da quelli del New York Times, che ha previsto effetti negativi sul sistema bancario italiano. Eppure il precedente della Brexit dovrebbe invitare alla cautela rispetto a certi toni: il coro di preoccupazione non ha influenzato la decisione degli elettori britannici. Anzi: i cittadini hanno sfidato l’establishment esprimendo un voto “anti-sistema”. In questo clima gli allarmi, che suonano come un sostegno alla riforma, vengono dribblati dallo stesso Matteo Renzi: il presidente del Consiglio preferisce giocarsi la partita da outsider, pur gongolando per i vari endorsement, perché l’appoggio pubblico della grande finanza rischia di essere una zavorra nell’immagine. Non a caso è andato a ripetere in giro che il vero voto “anti-sistema” è quello per il Sì. Così per marcare una distanza, a parole, dai poteri forti ha anche detto che la vittoria del “no” non “sarebbe l’Armageddon”.

Anche in Italia – Ma il fiume di allarmismi è ormai in piena anche nei confini nazionali. Dopo la Banca d’Italia, che ha annunciato l’allerta per le fibrillazioni post referendarie, anche Confindustria, attraverso il presidente Vincenzo Boccia, ha usato parole quasi apocalittiche. “Serve stabilità. Le imprese devono poter contare su un assetto istituzionale e normativo semplice e certo, nel medio periodo, altrimenti la macchina degli investimenti non riparte”, ha detto. Un messaggio nella bottiglia indirizzato agli elettori: la bocciatura della riforma può far tirare il freno a mano agli imprenditori. E la battuta della deputata, ex Pd, Beatrice Brignone, sostenitrice del no, sintetizza bene la questione: “Sono abbastanza certa che all’Angelus di domenica 4 dicembre, arriverà il Papa a dire che se vince il No siamo fuori anche dalla grazia di Dio. A questo punto manca solo lui”.