Il Tar blocca i Comuni nella lotta alle ludopatie

di Carmine Gazzanni

La legge c’è. Quello che manca è la volontà – a prescindere da quale sia il motivo – per renderla esecutiva. Non c’è altra lettura possibile se si considera che la norma, inapplicata, risale addirittura al 2012. Il risultato, allora, è che la ludopatia viene combattuta soltanto a parole, le lobby del gioco possono continuare a prosperare e a guadagnare anche se vicini a scuole, ospedali e chiese.

SONNI PESANTI
Qualcuno dirà: “ma come? Non erano state prese misure per così dire ‘di sicurezza’ affinchè non potessero esserci slot nelle immediate vicinanze di scuole, ospedali e chiese?”. Per rispondere a questa domanda, bisogna necessariamente fare un passo indietro. Appunto, al 2012. E precisamente al 14 settembre, quando entra in vigore il decreto di Renato Balduzzi, allora ministro della Salute. All’articolo 7, comma 10 si stabilisce che per l’installazione di slot si dovrà tener conto “della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando”. Ma attenzione: poco prima si dice chiaramente che la direttiva, nel concreto, dovrà essere emanata dalla “Agenzia delle dogane e dei monopoli, in funzione della sua competenza decisoria esclusiva al riguardo”. Ecco, esclusiva. Peccato, però, che pur avendo “competenza decisoria” in materia, nessuno abbia pensato dall’Agenzia diretta oggi da Giuseppe Peleggi a emanare alcuna direttiva. In altre parole, da due anni attendiamo una norma di concreto contrasto alla ludopatia. I Monopoli dormono. E le lobby esultano. E ringraziano.

MANI LEGATE
Ma il paradosso non finisce qui. Perchè se all’Agenzia delle dogane e dei monopoli preferiscono attendere non si sa bene cosa, qualche comune ha deciso di prendere la palla in mano. Coscienziosamente. E di emanare delibere ad hoc che, appunto, prevedano raggi nelle vicinanze di scuole, ospedali e chiese in cui sia vietato installare slot machines. Cosa accade però poi? Che i proprietari e gestori di bar o sale da gioco presentano sistematico ricorso al Tar che, davanti all’assenza di una direttiva nazionale, non può che dar ragione ai gestori e, paradosso dei paradossi, condannare il Comune.

L’ULTIMO CASO
Il 22 ottobre è arrivato l’ultimo episodio. A Comacchio (Ferrara) il comune aveva appunto previsto una “distanza di sicurezza” di 500 metri dai luoghi sensibili. Una decisione più che legittima. Ma non per il Tar dell’Emilia Romagna che, nella sua sentenza, ha ritenuto il ricorso “fondato” in quanto “la pianificazione delle sale da gioco e la riallocazione di quelle prossime a siti sensibili appartiene all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli”. Pertanto, “in assenza della suddetta programmazione, l’adozione da parte dei singoli comuni di norme in materia è priva del necessario presupposto”. La delibera, dunque, decade. E il Comune è condannato anche a pagare le spese. Ciliegina sulla torta. Amara.