Indagine sul crollo del ponte Morandi. Di Pietro consegna alla Procura di Genova i nomi di chi non avrebbe vigilato sulla sicurezza del viadotto. Per l’ex ministro esistono responsabilità politiche

L'ex pm e ministro Antonio Di Pietro sentito come persona informata sui fatti nell'inchiesta sul crollo del ponte Morandi

Non solo le responsabilità dei concessionari nel crollo del ponte Morandi ma vanno investigate anche quelle di chi doveva vigilare e non lo avrebbe fatto. Questo sostanzialmente quanto ha dichiarato, ieri, Antonio Di Pietro ai magistrati della Procura di Genova che indagano sulla tragedia che ha sconvolto il capoluogo ligure, provocando la morte di 43 persone.

L’ex magistrato, diventato famoso per aver fatto parte del pool di Mani Pulite, è stato sentito in qualità di testimone e ha fatto nomi e cognomi di quelli che, secondo lui, avrebbero avuto un ruolo nella vicenda. Fatti che Di Pietro conosce bene perché nel 2007, anno in cui fu siglata la convenzione tra Anas e Autostrade per l’Italia, quest’ultima società di proprietà della famiglia Benetton, rivestiva il ruolo di ministro delle Infrastrutture. Un faccia a faccia con gli inquirenti, durato all’incirca un’ora e mezza, in cui il politico ha portato un gran numero di documenti capaci di far luce sulla questione che più di tutte interessa i pm liguri, ossia quella delle eventuali responsabilità politiche.

Del resto già nei giorni subito successivi alla catastrofe, il fondatore dell’Italia dei valori era stato tra i primi a puntare il dito sui controlli da parte del ministero. Questi, a suo avviso, sarebbero stati gravemente insufficienti quando non del tutto assenti. Una convinzione che lo aveva subito portato a dichiarare: “Quel che ha valore è la convenzione principale che indica chiaramente nel ministero dei Trasporti e nello Stato i responsabili ultimi della vigilanza strutturale”.

Eppure dopo il crollo, secondo la sua ricostruzione, qualcuno avrebbe fatto di tutto per svicolare dalle proprie responsabilità, tanto politiche quanto personali, addossando l’intera faccenda ad Autostrade per l’Italia che, ben inteso, resta la principale indiziata del crollo. Proprio per chiarire questo punto ai pm, Di Pietro ha affermato di aver fatto il possibile in quanto: “Credo che la politica e le istituzioni debbano interrogarsi non più il giorno dopo la tragedia e su cosa si sarebbe potuto fare ma semmai il giorno prima”.

Poi, prima di congedarsi dalla ressa di cronisti e interrogato sull’ormai prossima ricostruzione, l’allora ministro ha voluto fare una riflessione. Secondo lui, per il bene della città “l’importante è arrivare al risultato” nel più breve tempo possibile ma, soprattutto, facendo in modo che una simile tragedia “non accada mai più”. Non solo, per il fondatore dell’Italia dei valori è del tutto irrilevante chi materialmente procederà con la ricostruzione perché “questo alla città di Genova non interessa affatto”. Ad interessare i cittadini, infatti, è avere la certezza che la ricostruzione “venga pagata da chi l’ha fatto cadere”.

Sulla cosiddetta de-responsabilizzazione dello Stato nel crollo parziale del ponte Morandi, i magistrati di Genova hanno convocato per venerdì Graziano Delrio. Quest’ultimo, infatti, dal 2 aprile 2015 al 1 giugno 2018 ha ricoperto il ruolo di ministro dei Trasporti per i governi di Matteo Renzi e di Paolo Gentiloni, e potrebbe fornire preziose informazioni.