Terrore a Bruxelles, Intelligence da ripensare. Molti Paesi ancora arretrati

di Ranieri Razzante*

L’arresto, pochi giorni fa, di Abdeslam Salah, uno degli autori degli attacchi di Parigi del 13 novembre scorso, e da allora latitante, aveva provocato nelle forze di sicurezza belghe un’iniezione di autostima successiva ai molteplici fallimenti verificatisi in questi ultimi mesi. La festa però è durata poco perché gli attacchi terroristici all’aeroporto di Zaventem e alla fermata della metropolitana vicina alla sede della Commissione Ue a Bruxelles, oltre a seminare morte e distruzione, hanno dimostrato come, nonostante il massiccio dispiegamento, ordinario e straordinario, delle forze di polizia e di intelligence i terroristi siano in grado di eludere controlli e sorveglianza e colpire senza particolari problemi. Dalle evidenze emerse nelle ore immediatamente successive agli attacchi appare chiaro che i due fatti siano legati da un nesso di causalità. Probabilmente gli attacchi di ieri sono la risposta anticipata a qualche possibile affermazione da parte del super ricercato Salah, il quale potrebbe rivelare dettagli importanti relativi alla propria cellula o a quelle di sua conoscenza.

Tuttavia questa ipotesi, seppure possibile, potrebbe non essere la ragione esclusiva delle azioni. La struttura cellulare, caratteristica propria delle articolazioni terroristiche operative in Europa, prevede, quale elemento immanente, la non conoscenza di informazioni attinenti altre cellule; ciò al fine di tutelare la sicurezza dell’intera struttura nei confronti di possibili fuoriuscite di informazioni da parte di soggetti catturati. Tuttavia, Salah rappresenta sicuramente un tesoro informativo importante. A questo si aggiunge sicuramente la possibilità che l’attacco sia stato una risposta all’impegno belga all’interno della coalizione internazionale contro ISIS in Medio Oriente come induce a ritenere la rivendicazione rilasciata da Daesh attraverso l’agenzia AMAQ.

A questo punto emergono alcune considerazioni importanti. In via principale appare evidente quale sia il grado di abilità di tali soggetti nel muoversi liberamente all’interno di un perimetro strettamente sorvegliato da forze di sicurezza in continuo stato di allerta portando armi ed esplosivi al seguito. In via subordinata la scelta di obiettivi sensibili quali l’aeroporto e la metropolitana fanno riflettere sull’ulteriore capacità di seguire il cd. ciclo terroristico nei suoi diversi passaggi. Il tutto, ancora, senza farsi notare da servizi di intelligence e forze di polizia impegnate proprio in attività di sorveglianza.

È indubbio che un ripensamento dell’intero approccio al fenomeno risulti essere, dopo oggi, imperativo. L’intelligence di alcuni Paesi va potenziata e, nel contempo, amplificato fortemente il concetto di data e information sharing a livello internazionale. Ciò in quanto i danni provocati da tali azioni non sono soltanto rappresentati dalle vittime ma anche dalle ripercussioni nei settori economici strategici per Nazioni quali quelle europee che sul turismo, ad esempio, affidano gran parte dei propri introiti. Nonostante in questi casi la normalità impieghi poco tempo per ripristinarsi la possibilità che si verifichino ulteriori attacchi potrebbe provocare ripercussioni anche in settori strategici come quello del turismo. In questa lotta contro il terrorismo internazionale un ruolo da protagonista è affidato dunque all’intero comparto intelligence il quale, soprattutto in alcuni Paesi, dovrebbe rivedere le proprie buone prassi magari gettando un occhio verso quelle Nazioni in cui tale settore della sicurezza nazionale funziona bene. L’Italia ne è un esempio evidente.

* Direttore Osservatorio
sul finanziamento al terrorismo