Intrappolati nell’In-Giustizia

Di Angelo Perfetti

Undici sentenze di condanna in una sola giornata e in una sola sezione del Tar del Lazio. E tutte a carico del Ministero della Giustizia. Il primo luglio ha segnato, semmai ce ne fosse stato bisogno, un ennesimo capitolo nero della giustizia italiana, già vessata dalle procedure di infrazione europea per la lentezza del processi. Un vizio che sembra impossibile da estirpare, se è vero come dimostrano i provvedimenti appena citati (dal 06911 al 06925, Prima sezione) che nemmeno una sentenza di Cassazione che riconosce a un malcapitato il diritto a essere risarcito per la lunghezza di un procedimento giudiziario riesce a interrompere l’iter giudiziario. Proprio il ministero della Giustizia, infatti, si “dimentica “ regolarmente di pagare quanto stabilito dalla Suprema Corte, e per ottenere quei soldi c’è bisogno di iniziare un nuovo procedimento, stavolta davanti ai giudici contabili. E così arrivano in tutti i Tar d’Italia (quello del Lazio è solo uno dei casi che intasano i tribunali amministrativi regionali a livello nazionale) una raffica di ricorsi per costringere lo Stato, in particolare nella sua declinazione di Ministero della Giustizia, ad essere corretto verso i cittadini.

I ricorsi
Dopo la presentazione del ricorso i giudici contabili verificano dalle carte processuali la fondatezza della richiesta. In tutti i casi citati il Tar si vede costretto a intimare al Ministero “a dare piena e integrale esecuzione” alla sentenza, e provvedere “alla corresponsione degli importi dovuti”. Ma è una richiesta che spesso cade ancora una volta nel vuoto, allungando ulteriormente i tempi per ottenere giustizia. Il Tar lo sa, ed è forse questa la cosa più significativa della vicenda, la rassegnata consapevolezza che nulla cambierà. E così già nel dispositivo della sentenza si guarda oltre: Il Collegio – è scritto – fissa il termine di 30 giorni dalla notificazione e nomina fin d’ora, per l’ipotesi di inutile decorso del predetto termine, un commissario ad acta affinché provveda in nome e a spese dell’Amministrazione inadempiente”.
Il corto circuito
Insomma, ci troviamo di fronte a uno Stato che ha tempi biblici per arrivare a una sentenza di Tribunale, lo stesso Stato tramite la Cassazione condanna il ministero della Giustizia a un risarcimento che, per essere incassato, ha bisogno di un successivo passaggio al Tribunale amministrativo. Il quale, conscio del fatto che il Ministero non pagherà, lo scrive addirittura in sentenza e mette le mani avanti con la nomina di un Commissario ad acta. E’ talmente laocoontica la struttura della Giustizia nostrana da restare avviluppata su set stessa, alto che processi veloci. Senza considerare il costo per la collettività, perché va da sé che ogni atto, ogni udienza, ogni nomina avrà dei costi che sempre lo Stato – cioè noi cittadini – dovrà pagare.

Il giudizio dell’Europa
L’Italia è al primo posto nell’area Ocse per la durata dei processi, pari in media a 600 giorni. In Corea del Sud, Austria e Giappone, tanto per citare gli esempi più virtuosi, ne bastano poco più di 100. Processi lenti e costosi, nel nostro Paese, se si considera che il Belpaese è anche al terzo posto tra le nazioni con le più alte spese legali per procedimento. La lentezza dei procedimenti giudiziari, dicono le statistiche della Corte di Strasburgo, è al centro della maggioranza dei reclami. Una violazione grave e costante della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, che tutela il principio della ragionevole durata del processo. Proprio la Convenzione, firmata a Roma nel 1950, ha sancito la nascita del tribunale di Strasburgo, nel cui mirino l’Italia è entrata negli anni 80 per non uscirne più.

Oggi nuove proteste
Intanto il “Comitato Giustizia” di Roma, che riunisce più di duemila lavoratori appartenenti al personale amministrativo, dopo la protesta di Piazzale Clodio torna oggi alle 15 a manifestare contro la riforma della giustizia, giudicata “inesistente”: il pacchetto presentato lunedì dal governo Renzi è definito un “lungo elenco di buoni propositi senza fondamento né futuro”.