La Capitale ha toccato il fondo. Per la città eterna serve un cambio di passo

Non ci sono parole diverse da quelle usate dal New York Times per esprimere il disagio dei romani per il degrado in cui sono costretti a vivere: “Nonostante l’abituale cinismo, sentono che la loro città sta crollando”. Non si deve aggiungere altro, perché le stesse rampogne di un Montezemolo – ieri intervenuto a proposito – fanno solo pensare in controluce a una borghesia distratta e inadempiente, pronta a sfilarsi al momento giusto assumendo, dinanzi al degrado, i toni della condanna moralistica. Roma sta crollando, in effetti, per la mancanza di una classe dirigente all’altezza dei compiti e delle responsabilità di questo tempo difficile. Non basta criticare l’attuale amministrazione. È indubbio che il fallimento di questa giunta non sia più oggetto di confronto pubblico: l’interesse si è ormai spostato. Si tratta di constatare un dato di fatto, vale a dire l’inettitudine di amministratori che si dimostrano, ogni giorno che passa, incapaci di padroneggiare la situazione. Eppure, nel 2013 Marino aveva scalato le primarie e poi affrontato la campagna elettorale con piglio di riformatore agguerrito. La vittoria, purtroppo, non ricava in sé un vero progetto per Roma. Invece di trascorrere, dunque, giornate di caldo africano a discettare sulla possibilità di sciogliere il Comune per mafia, servirebbe un gesto di serietà da parte del sindaco: meglio interrompere questa lenta agonia, accompagnata come si vede da giudizi severi dei media internazionali, imboccando la strada dell’autoscioglimento per ragioni politiche. Andare avanti così, con il primo cittadino fortemente inviso alla maggioranza dei suoi concittadini, attesta la perdita di consapevolezza dei guai e dei problemi che gravano sulla vita quotidiana di Roma. Per le strade, sugli autobus, negli uffici o nei ristoranti, il senso di frustrazione e disagio per lo stato in cui versa la capitale si addensa come nuvola carica di pioggia. Sbaglia chi pensa a una propaganda a sfondo denigratorio, magari adombrando chissà quali macchinazioni politiche. Piuttosto è un malessere diffuso, finanche appesantito dai disagi per scioperi e disservizi, che giorno dopo giorno può sfociare in aperta contestazione. Per questo è giunto il tempo di riconoscere che le dimissioni del Sindaco si presentano agli occhi della pubblica opinione come un fattore ineludibile e necessario. Tergiversare, allora, è quanto di peggio si possa auspicare per il bene della città. Ora le vacanze attutiscono il senso dell’urgenza, ma non cancellano i problemi che ne determinano la percezione. In realtà, anche volendo ignorare il tema delle infiltrazioni di mafia, lo scollamento della vita amministrativa obbliga a pensare a un rimedio molto drastico. In questi mesi si è cercato di mettere in moto un processo di autorigenerazione del governo capitolino. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: non si è cavato un ragno dal buco. Il buon senso consiglia di non insistere, perché il cinismo dei romani – New York Times docet – si arresta sulla soglia della mortificante e depressiva esperienza della realtà urbana. Bisogna staccare la spina.